Altro

Per un pensare costruttivo

Tra concetto e stima di sé: essere consapevoli promotori di una narrazione

Camelia bianca con foglie verdi; terra e prato.

Pensare positivo: quante volte lo avete sentito dire? Quante volte lo avete applicato? C’è stato un periodo in cui avevo l’orticaria ogni volta che sentivo questo motto da quanto era inflazionato. Così ho elaborato una versione per me più realistica e sicuramente un po’ più pesante di tutta questa positività a mio parere realizzabile solo nelle foto di Instagram. E’ certamente una riflessione meno carismatica e meno allettante, ma che se sviluppata confido possa condurre a notevoli soddisfazioni.

Partiamo con la parte noiosa (e necessaria). Nel 1890 William James fece un’importante distinzione: fu il primo a disgiungere il me-self dall’I-self. Il primo è il sé materiale, sociale, spirituale, è il concetto che uno ha di sé, ad es. “sono bravo in matematica”; il secondo è la consapevolezza di sé, la considerazione che uno ha di se stesso in relazione allo svolgimento di uno specifico compito, se si sente in grado di farlo; ad es. “prenderò 10 al compito di matematica”.

Villa ottocentesca, con cancello in ferro battute e alberi senza foglie.

Tutto chiaro, ma cosa ce ne facciamo? La traduzione in italiano potrebbe essere tra un me come oggetto di pensiero ed un io che agisce; tutto fa parte del senso del sé. Nel mio caso, ad esempio, posso dire che ho sempre avuto un buon concetto di me sia in ambito accademico sia personale; ho nel tempo valutato positivamente diversi aspetti legati alla competenza intellettuale, fisica, sociale. Certo, come tutti ho i miei punti deboli, ma in generale ho coltivato un buon me-self. Tutto cambia per quanto riguarda l’I-self: se c’era un’interrogazione ero convinta che sarebbe andata male, sarei arrivata ultima ad ogni gara e certamente non sarei riuscita a portare a termine alcun compito. Per fortuna venivo quasi sempre smentita, ma ciò non ha mai cambiato la mia impressione che, pur essendo teoricamente brava, avrei puntualmente fallito in ogni azione da me intrapresa. Sono rare le occasioni in cui ho pensato che ce l’avrei fatta: le ricordo come momenti di grandioso trionfo, non tanto per i risultati finali quanto per la magnifica sensazione di potenza.

Recentemente ho scoperto con mia grande sorpresa che il concetto di sé è diverso dalla stima di sé. Un’altra distinzione, dunque. Ebbene sì, perché posso anche pensare di essere poco intelligente o sapere che andrò male ad un compito, ma se per me l’importante è diventare un grande tennista e vinco tutte le partite, beh, ho una grande stima di me stesso.

Quadro su cavalletto con rappresentati dei palazzi, sfondo una siepe e due vasi.

Alla fine, quindi, ciò che noi pensiamo di noi stessi è influenzato da tanti fattori, dall’equilibrio o dal disequilibrio tra concetto e stima di sé, quanto ci sentiamo efficaci, quali risposte abbiamo dall’ambiente, cosa reputiamo di valore. Inutile dire che tutti questi aspetti sono multidimensionali e sono strettamente collegati con l’identità, ovvero il senso unitario di sé. Ecco, non voglio addentrarmi in un ambito che sicuramente non è il mio, ma dall’esperienza personale posso dire che trovare un equilibrio è sempre estremamente difficile, tuttavia la consapevolezza e la ricerca costituiscono di sicuro un valido aiuto.

In special modo, essere in grado di capire che tanti pensieri coabitano in noi e su di noi, ci rende più liberi di scegliere su cosa focalizzarci. Se continuo ad ancorare i miei pensieri in una rappresentazione negativa, come “non piaccio a nessuno” (concetto di sé), entro in un circolo sterile e ignoro tutte le persone che possono trovarmi simpatica o attraente. Ma davvero penso di non piacere a nessuno? Forse dovrei dire che “non piaccio a Tizio” (si metta nella figura mitologica di Tizio tutti i ragazzi, le ragazze, gli uomini e le donne che ci interessavano ma non ci hanno ricambiato) oppure che “non riuscirò a conquistare Tizio” (senso di efficacia, I-self). E’ un pensiero ben diverso perché posso trasformarlo in qualcosa di produttivo, posso scavare un po’ più a fondo e vedere perché non piaccio, se vale la pena investire delle energie per quella persona, se qualcun altro potrebbe interessarmi o se ho uno o più spasimanti che mi erano sfuggiti. La mia stima sicuramente ne risentirebbe positivamente, ma anche il concetto di me sarebbe ben diverso.

In conclusione, quindi, stiamo attenti alla narrazione che usiamo, sia quando parliamo con gli altri sia quando conduciamo un soliloquio interiore: non fossilizziamoci in racconti sterili che non ci portano che ad essere più tristi, più insicuri e più derelitti di prima o che ci possono dare solo un sollievo momentaneo, magari incentivato dalla pacca sulla spalla dei nostri migliori amici. Non sto promuovendo semplicisticamente il “pensare positivo”, sto cercando di incentivare (me stessa in primis) verso un pensare costruttivo, che può essere comprensibilmente negativo, ma solo come punto di partenza.

Potrebbe piacerti...