Visita alla basilica caratteristica del rinascimento fiorentino
Quante volte mi sono ripromessa di visitare Santa Maria Novella? Decine, forse persino centinaia, quando sono passata lì di fronte per caso, quando andavo a prestare servizio di volontariato in ambulanza proprio accanto, la sera in cui con Lorenzo ci siamo fermati a cena nel ristorante di uno dei prestigiosi hotel della piazza… Invece, ci è voluta mia madre e le riaperture durante la pandemia perché mi decidessi a visitare non solo la basilica, ma anche il complesso museale, che, però merita uno spazio a parte.
Nel 1221 i Domenicani giunti da Bologna a Firenze (dal 1219) ottennero la piccola chiesa di Santa Maria delle Vigne, così chiamata per i terreni agricoli che la circondavano, poiché all’epoca era fuori dalle mura. Di questa chiesetta antica sono stati trovati alcuni resti sotto l’attuale sagrestia, in particolare le basi di alcuni pilastri romanici.
Nel 1242 la comunità domenicana fiorentina decise di dotarsi di un nuovo e più ampio edificio: i lavori cominciarono nel 1279 e si conclusero nel 1357.
LA FACCIATA
Fu iniziata probabilmente nel 1458, secondo un progetto risalente al tempo del Concilio di Firenze (1439 – 1442), presieduto da papa Eugenio IV al cui seguito apparteneva il giovane Leon Battista Alberti. La facciata era nuda, come quella di San Lorenzo, ma vi erano sei tombe di importanti cittadini del tempo, che erano perciò inamovibili; sopra di esse troneggiavano altrettanti archi a sesto acuto. La straordinaria capacità dell’Alberti fu proprio quella di armonizzare gli elementi preesistenti, la rigida struttura gotica, con il gusto contemporaneo: ciò ha reso la facciata marmorea fra le opere più importanti del rinascimento fiorentino. Fautore di questo rinnovamento artistico e architettonico fu Giovanni Rucellai, il cui nome è rintracciabile sul frontone superiore della basilica, insieme con lo stemma della famiglia.
Oltre a Leon Battista Alberti, autore dell’impianto della facciata, che è un vero e proprio manifesto della riscoperta filosofia platonica con l’intreccio in rapporti perfettamente equilibrati di figure geometriche come il triangolo, il cerchio, il quadrato e il rettangolo, altri artisti, scultori e architetti aggiunsero nei secoli il proprio contributo. Le lunette sopra le porte, ad esempio, furono dipinte da Ulisse Ciocci tra il 1616 e il 1618, mentre le strumentazioni scientifiche furono aggiunte nel 1572-1574.
L’INTERNO
Personalmente sono entrata nella basilica accedendo da una porta laterale, proveniente da uno dei chiostri: non ho quindi potuto godere immediatamente del colpo d’occhio che abbraccia l’intera struttura e che stupisce per la vastità e grandiosità della stessa.
Santa Maria Novella è la prima basilica a Firenze dove furono utilizzati elementi di architettura gotica, tipicamente cistercensi. Con quasi cento metri di lunghezza e una larghezza di oltre 28, offre al visitatore un ampio respiro, spazi vuoti e una seria alternanza della decorazione verde e bianca. La pianta a croce commissa (cioè a T) è suddivisa in tre navate con sei ampie campate, che progressivamente si rimpiccioliscono avvicinandosi all’altare e che creano così la sensazione di una maggiore lunghezza.
Gli elementi su cui soffermarsi sarebbero innumerevoli: dagli archi a sesto acuto all’altare ottocentesco di stile neogotico. In particolare, vorrei notare sulla facciata interna la lunetta del portale centrale, raffigurante la Natività e opera forse dello stesso Botticelli, sicuramente della sua cerchia. Spicca nella navata centrale il pulpito, progettato da Filippo Brunelleschi e realizzato da Giovanni di Pietro del Ticcia (1443-48), con bassorilievi narranti le storie dell’annunciazione, adorazione, presentazione di Gesù al tempio e assunzione di Maria di Andrea di Lazzaro Cavalcanti detto Il Buggiano.
In fondo alla navata principale, ad un’altezza di 4,5 metri, è stato ricollocato dal 2001 il Crocifisso di Giotto, che lo dipinse probabilmente tra il 1288 e il 1289. Originariamente questa opera doveva trovarsi sul ponte demolito nella ristrutturazione del Vasari, mentre poi fu spostato sulla facciata interna, dove rimase fino al 1937; dopo una breve permanenza anche nella sagrestia, è stato completamente restaurato e posto più o meno nella posizione dove si trovava al tempo del Vasari, importante anche per il collegamento alla divisione iconostatica. Il Crocifisso è ispirato alla scuola della spiritualità francescana del Cristo patiens che evidenzia il tema della passione rispetto a quello della gloria e per questo i suoi colori sono il nero, il bianco e il rosso, colori che rappresentano la morte, la pura innocenza, il sangue e, appunto, la passione. È l’immagine del corpo di Cristo colto nell’istante dell’abbandono della vita simboleggiata dal sangue che sgorga dalle sue membra, della materia privata dell’anima ma comunque esaltata dall’incarnazione divina e, quindi, destinata alla resurrezione. La straordinaria bellezza risiede nel realismo del modello che non è più idealizzato, come nell’arte bizantina, ma è rispondente al vero.
La cappella di Filippo Strozzi
All’interno del transetto, sulla destra, troviamo una cappella celebre per gli affreschi realizzati da Filippino Lippi dalla fine degli anni ’80 del XV secolo al 1502 su commissione di Filippo Strozzi il Vecchio. Il tema del ciclo degli affreschi furono le Storie della vita dei Santi Filippo Apostolo e Giovanni Evangelista: il primo legato al nome del committente, il secondo in quanto già precedentemente patrono della cappella. Sono rappresentate le scene del martirio di San Filippo ed il suo miracolo della resurrezione della fanciulla Drusiana. Dietro l’altare si trova la tomba in porfido di Filippo Strozzi, scolpita da Benedetto da Maiano (ultimi anni del XV secolo).
La Trinità del Masaccio
Nella terza arcata della navata di sinistra, si può ammirare l’affresco della Trinità di Tommaso Guidi, detto Masaccio (1425-1426). Esso fu coperto da Giorgio Vasari con un altare e una tavola e fu ritrovato e rimesso al suo posto nelle ristrutturazioni e restauri degli ultimi due secoli.
Di grande impatto scenico ed emotivo, notiamo come sullo scheletro giacente corre la scritta “Io fu già quel che vuoi siete e quel chi son voi ancor sarete”: non si tratta di un monito sulla caducità della vita, che sarebbe fuori luogo in una celebrazione della trinità, ma sono le stesse parole che Cristo, già vivo sulla terra come gli uomini esiliati per il peccato di non sottomissione a Dio, rivolge al Padre in cui vive per l’eternità sottomettendosi completamente a lui, fino alla morte.
Di grande effetto è la composizione architettonica, uno dei primi e più perfetti esemplari di prospettiva rinascimentale, probabilmente anche grazie all’intervento del Brunelleschi.
La Cappella Gondi
All’interno di questa cappella, che si trova nel transetto a sinistra ed è caratterizzata da un’architettura classica, troneggia il Crocifisso del Brunelleschi, una scultura lignea del 1410-15 circa. Secondo la testimonianza del Vasari quest’opera venne scolpita in risposta al Crocifisso ligneo di Donatello di Santa Croce a Firenze, verso il quale il Brunelleschi aveva manifestato critiche per l’esasperato naturalismo e che aveva definito un «contadino in croce» invece che un corpo simile a Gesù Cristo, che in tutte le sue parti fu il più perfetto uomo che fosse mai nato. Sfidato così da Donatello a fare di meglio, il Brunelleschi scolpì quest’opera, alla vista della quale l’amico fu colto da tanta meraviglia da far cadere in terra e fracassare le uova che teneva in grembo e che aveva portato con sé per desinare con l’amico e da fargli dire: «a te è concesso fare i Cristi e a me i contadini».
L’aneddoto potrebbe non essere vero, considerando anche la distanza temporale tra le due opere (stimata tra i due e i nove anni). Tuttavia, è evidente come il Crocifisso del Brunelleschi si opponga a quello di Donatello perché realizzato all’insegna della compostezza e della solennità; inoltre esso è idealizzato e specchio della perfezione divina del soggetto stesso. Si tratta di una perfezione anche matematica: le braccia aperte misurano quanto l’altezza della figura, la linea del naso punta al baricentro dell’ombelico…
La Cappella Tornabuoni
Arriviamo alla Cappella Maggiore della basilica, dedicata proprio alla Madonna Assunta. Affrescata prima dall’Orcagna (XIV) per volere della famiglia Ricci, con la decadenza della famiglia e il deterioramento delle pitture, anche a causa di un incendio, Giovanni Tornabuoni chiamò per una nuova decorazione il Ghirlandaio. Il dipinse le storie dedicate alla vita della Vergine e tratte dai vangeli apocrifi (a sinistra), e a quella di San Giovanni Battista patrono di Firenze (a destra), mentre le vele della volta furono riservate ai Quattro Evangelisti.
Il Ghirlandaio affrontò la vastissima impresa avvalendosi di un gruppo bene organizzato di giovani collaboratori, soprattutto nei lunettoni laterali.
Il mondo a cui il Ghirlandaio ama guardare è quello del quotidiano, vale a dire alla vita che si svolge intorno a lui abitualmente, descritto con un tono elegante e signorile degno della famiglia del committente e al contempo rispecchiante il comune ambiente dell’alta borghesia fiorentina, anche per quel che concerne le mode del tempo nell’abbigliamento, nelle decorazioni, nei gesti consueti, negli ambienti ritratti…
Seguendo il gusto dell’epoca, il pittore ritrae i personaggi più in vista e maggiormente conosciuti a Firenze, poiché la borghesia fiorentina amava riconoscere persone note e contemporanee nei personaggi principali della narrazione o anche in figure secondarie di quelle scene, e più ancora si rallegrava di parteciparvi con la propria effigie.
È questo il caso soprattutto dei personaggi della famiglia del committente, i Tornabuoni appunto, che sono ritratti con un’attenzione particolare, come per mettere in risalto la loro posizione d’eccezione. Tanto è così, che a Giovanni Tornabuoni e alla moglie, Francesca di Luca Pitti, furono riservati due appositi riquadri posti in tutta evidenza nella parete centrale.
INFORMAZIONI
> Opera per Santa Maria Novella: https://www.smn.it/it/
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