Fatalità, vita e passato in una trama serrata
Questo libro, regalo di mia mamma per l’Epifania, è il frutto delle sue impegnative ricerche e selezioni… Mi ha confidato di essere stata a lungo indecisa se acquistarlo o meno, se preferire magari una lettura un po’ più leggera. Alla fine, ha scelto questo regalo, in un’edizione de L’Orma molto graziosa, ordinandolo alla Libreria dei Salesiani in via Gioberti, a due passi da casa sua, ed io ne sono molto felice. L’ho divorato in pochi giorni alla fine di gennaio e mi ha colpita e avvinta.
Ad essere completamente sincera, sapevo fin dall’inizio che avrei amato questo libro. Il motivo di questa mia certezza non è facilmente comprensibile: sono solita leggere le ultime righe di ogni volume che mi capita sottomano. Dall’impressione che ho di esse posso intuire quale sarà il mio sentimento verso il romanzo o addirittura il saggio…
In questo caso non ho avuto alcun dubbio: il finale mi ha folgorata e mi ha subito convinta che il libro mi sarebbe piaciuto molto. Sebbene conoscessi già l’ultima scena, la conclusione, non avevo alcuna idea della trama e niente avevo immaginato dell’evento portante intorno a cui ruota tutta la struttura del racconto.
“Si crede che la morte sia sempre un affare degli altri.”
P. 79
La storia è semplice, eppure, al tempo stesso, avvincente, interamente condensata in poche ore (addirittura, per molte pagine, in pochi secondi). Tuttavia, la prospettiva si dilata nel tempo e nello spazio, grazie ai ricordi e alle riflessioni del protagonista, che ripercorre parti e figure salienti della propria vita. Può apparire un ordine casuale: piccole cose, oggetti, persone che riemergono dal passato, rese lontane dalla loro morte o dalle scelte della vita oppure ancora vicine, anche se non fisicamente; in qualche modo, però, il lettore sente e comprende l’importanza di questo miscuglio, lo percepisce come proprio… Forse perché ognuno di noi scorrerebbe similmente le pagine della propria vita: ci identifichiamo nel protagonista, che onestamente non è neppure così amabile, perché ci rappresenta, è imperfettamente e caoticamente umano.
Fiore all’occhiello di questo libro e motivo per il quale lo amo molto è lo stile: Paul Guimard alterna la prima persona del protagonista ed un narratore onnisciente. La prima è colma di ricordi, naviga nel flusso dei propri pensieri, tra autoinganni, analisi, invettive; le sue parole sono un flusso ininterrotto, un continuo monologo interiore, caratterizzato da appelli a persone care, come il figlio, riflessioni sulla propria esistenza, promesse per il futuro, possibilità di redenzione di un sé rinato, minacce e arringhe in tribunale. Emerge chiaramente il contrasto con la narrazione in terza persona, che, invece, è fredda, distaccata, meticolosa e quasi scientifica; scende nei dettagli oggettivi di ciò che accade, descrivendo nei minimi particolari l’incidente. Questo cinico distacco si scontra con l’emotività del protagonista, ne fa emergere ingenuità e illusioni.
“Poi ho smesso di aver paura.
Mi ripugnava essere costretto a ritenere salutare il sentimento del rimorso; penso sia stato quello ad allontanarmi da Dio, di cui mi si insegnava l’ira e l’infinito rancore. Ho fatto mio sin da giovanissimo il proposito di non rimpiangere nulla.
Difendevo una tale etica in modo maldestro; oggi so, come tutti, che il rimorso è un pietoso tentativo di «modificare il passato».”
pp. 81-82
Si tratta di un libro che ci porta a riflettere sulla vita e sulla sua precarietà, a come tutto possa cambiare in un secondo, per un gioco del destino, per un mercante di bestiame e tre veicoli che rischiano di scontrarsi nei pressi di una località chiamata (non a caso) La Providance, ovvero la provvidenza… Non solo: questo breve romanzo ci pone anche davanti agli occhi ciò che abbiamo lasciato in sospeso, ciò che accadrà dopo la nostra morte e le infinite possibilità e bivi in cui ci siamo imbattuti. Per questo assume una tale importanza la lettera scritta tre mesi prima, conservata nei pantaloni e che, se consegnata al tempo, avrebbe potuto cambiare il destino di una coppia… e adesso? Quante scelte compiamo, quante “sliding doors”… (Uso qui il termine “sliding doors” nel senso astratto, attribuito dopo il film del 1998, di momenti topici che possono cambiare imprevedibilmente e irrimediabilmente il destino o la vita di una o più persone coinvolte.) Ecco quindi, quella lettera tenuta con sé ma che non ha più valenza o significato, righe di addio, mentre il protagonista vorrebbe ora sposare la donna amata; ed ecco quei secondi perduti che avrebbero potuto impedire l’incidente… Dove sono stati persi?
Fatalità, destino, caso, scelte compiute e rimaste in sospeso: tutto si mischia negli istanti decisivi di una vita. C’è una nota amara di ineluttabilità e impotenza, ma anche un profondo sentimento di consapevolezza di dover vivere e non semplicemente esistere, essere responsabili e attivi, pronti a rispondere delle conseguenze, secondo quanto possiamo e quanto la vita stessa ci concede. Infine, vi è anche un fervido invito a guardare le meraviglie del mondo, a goderne e ad essere presenti nel momento per non lasciarsele sfuggire, non concentrarsi solo sul male, sul dolore, sulle preoccupazioni e sulle ansie, ma afferrare e trattenere ciò che vi è di buono, bello, incredibile, felice.
In un momento si segna la distanza invalicabile tra la vita e la morte e l’estraneità totale dei defunti dai cari rimasti: “Hèléne sarà viva, come lo saranno gli amici che mi piangeranno e le donne che si ricorderanno di avermi accarezzato (…) come chiedere a chi è vivo una fedeltà contro natura?”
pp. 87-88
“La disattenzione dei vivi è sconcertante. In realtà si vede soltanto ciò che rientra nel campo visivo limitato dal paraocchi delle nostre preoccupazioni presenti. (…) Non si fa altro che proiettare intorno a sé la propria pellicola privata. (…) Quante meraviglie elargite invano di fronte alle nostre palpebre semichiuse!”
p. 101
“(…) se è vero che l’infelicità si abbatte sugli esseri umani in maniera evidente quanto brutale, è invece necessario essere vigili per afferrare foss’anche solo i riflessi di un momento di felicità.”
p. 108
SINOSSI
Alle undici del mattino, sulla Nazionale 13 che collega Parigi a Rennes, un uomo sfreccia sulla propria auto diretto ad un incontro di lavoro; assorto tra pensieri e ricordi, sta per accendersi una sigaretta non immaginandosi quanto accadrà di lì a pochi istanti. La narrazione, sospesa tra la vita e la morte, spazia dall’urgenza del presente ai ricordi remoti, dal concatenarsi degli avvenimenti al dilatarsi di voci e profumi lontani.
L’AUTORE
Paul Guimard (1921-2004), giornalista, romanziere e commediografo francese, è stato un intellettuale versatile, amico di registi e politici come Jacques Demy e François Mitterrand. Le cose della vita, pubblicato nel 1967, è il titolo che l’ha reso famoso. La sua trama serrata ha ispirato diverse trasposizioni cinematografiche: una francese del 1970, per la regia di Claude Sautet e un finale diverso dal libro (alla sceneggiatura ha collaborato lo stesso Guimard), e un’altra del 1994, con Richard Gere e Sharon Stone, ma che fu un grande flop.
IL LIBRO
Paul Guimard, Le cose della vita, L’Orma Editore, Avellino, edizione 2021.
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