Libri Romanzi

LETTERATURA ED ESISTENZA

Riflessioni su Due vite di Emanuele Trevi

Regalo natalizio di mia madre, che per il 2020 ha ben pensato di rimpinguare la mia libreria e di suscitare nuovamente in me un po’ di quello spirito di lettrice accanita che mi ha animata per tutti i primi anni della mia vita da quando ho scoperto la magia della composizione delle lettere in parole, frasi, periodi, fino alla scelta dell’università, con una facoltà umanistica che mi ha emozionata e al tempo stesso ha strappato via da me ogni velleità di lettura innocente di qualsiasi saggio o romanzo. Nel 2020 sono stata una lettrice mediocre, comunque all’altezza della me adolescente rispetto ad anni trascorsi a lasciare immacolata una gran quantità di libri che pure sembravano attrarmi; per il 2021, avrà pensato mia madre, visto anche come si sta evolvendo la pandemia, meglio correre ai ripari e fornire un po’ di strumenti di evasione e sopravvivenza. Direi che, per adesso, ci è riuscita.

“(…) non ammetterò mai che un dolore o una malattia servano a qualcosa, è solo una consolazione moralistica, e comunque rinuncerei volentieri a questi famosi frutti della sofferenza. Non siamo nati per diventare saggi, ma per resistere, scampare, rubare un po’ di piacere a un mondo che non è stato fatto per noi.” (p. 25)

Ho letto Due vite in neanche una settimana, praticamente l’ho divorato, sebbene a parole non lo avrei definito un libro particolarmente avvincente. Mi ha spiazzata subito: mi aspettavo un’altra storia e un altro modo di scrivere; l’idea mentale che avevo composto leggendo il titolo era quello di un romanzo, magari anche romantico, o al massimo uno scambio epistolare… immaginavo qualcosa, insomma, di completamente diverso, mentre l’autore chiarisce subito lo stampo di questo libro, il suo intento e persino la sua conclusione.

Libro Due Vite, visto di copertina, accanto a vaso di latta con dentro bulbi di giacinto in fiore, foglie verdi e fiori lilla; si scorge anche una cornice gialla e il piano in marmo chiaro.


(p. 69)
“la letteratura deriva la sua stessa ragione d’essere dal rifiuto di ogni generalizzazione: è sempre la storia di quella persona, murata nella sua unicità, artefice e prigioniera della sua singolarità.”


(p. 18)
“Più ti avvicini a un individuo, più assomiglia a un quadro impressionista, o a un muro scorticato dal tempo e dalle intemperie: diventa insomma un coagulo di macchie insensate, di grumi, di tracce indecifrabili. Ti allontani, viceversa, e quello stesso individuo comincia ad assomigliare troppo agli altri.”

Se dovessi individuare un genere, direi che potrebbe assomigliare ad un libro di memorie: il narratore, che ha conosciuto in prima persona i due protagonisti, Rocco e Pia, ne descrive il carattere e alcuni episodi salienti dell’esistenza, concentrandosi molto sulla produzione scritta di entrambi, fino a commentare o addirittura recensire i loro romanzi e traduzioni. Vuole dipingere le loro vite, delle quali svela quasi subito la tragica fine: il narratore, amico, evoca i fantasmi, li sente presenti, si immerge nel passato più lontano oppure vicino. L’interpretazione di queste esistenze e di tali caratteri, modi e scelte di vita, getta una luce più ampia sul senso per cui siamo al mondo, sulla nostra caparbia resistenza, sulla bellezza che possiamo creare.

L’intero libro ruota intorno alla morte, che rispecchia perfettamente sia Rocco sia Pia: due caratteri, due vite e due persone opposte. Come Pia è irriverente, timida, briosa, masochista nelle relazioni, accudente (e muore di SLA, consumandosi e spegnendosi a poco a poco), così Rocco è vulcanico e depresso, permaloso, sadico, impulsivo (e muore in un incidente stradale, all’improvviso). Pia pubblica l’ultima sua opera, dedicata alla passione del giardinaggio e all’attesa della morte, poco prima di soccombere alla malattia: riesce persino a leggere la recensione dell’amico narratore; Rocco lascia incompiuto l’ultimo romanzo, che sarà pubblicato grazie agli sforzi interpretativi e filologici dell’amico, che così espia parte del senso di colpa per aver lasciato Rocco solo in una parte della vita e dà pace al suo fantasma che lo tormenta ogni volta che cede al sonno.

ROCCO

(p. 19)
“Ma questa costellazione di fatti positivi, o perlomeno normali, si disponeva attorno ad una specie di buco nero, capace di assorbire al suo interno ogni energia vitale, trasformandola in un greve, inerte, disperato fastidio di esistere, nel quale il futuro gli appariva come l’irrimediabile ripetizione di un presente insopportabile”


(p. 35)
“Se bruciava la vita con una pericolosa intensità, come se fosse dotato di una miccia più rapida di quella degli altri, è proprio perché la capacità di godere era in lui altrettanto rigogliosa che quella di soffrire.”


(p. 36)
“ «C’è sempre qualcosa di assente che mi tormenta» diceva Camille Claudel, l’allieva di Rodin (…) Forse queste cose fanno parte della vita di ognuno, e c’è che ci fa più caso, e chi meno. In una certa misura, se questo è vero, la felicità dovrebbe consistere in una sempre minore attenzione a se stessi. Altro che la cura di sé! Meno sai chi sei e cosa vuoi, meglio stai. Quello che ho sempre augurato a Rocco (…) è stato un minimo di inconsapevolezza in più. Ma questa è davvero una forma di saggezza che gli era del tutto estranea. Lui, invece, faceva quello che in genere è possibile fare agli esseri umani: opponeva resistenza. E non si accontentava di cavarsela, voleva una vita degna di essere vissuta, ricca di significato e di piacere.”

PIA

(p. 90)
“Per tutti noi (…) c’è un tempo evidente, che è quello in cui prendiamo forma e veniamo consumati, seguendo una direzione irreversibile, come una pallina su un piano inclinato. Ma esiste anche un tempo meno percepibile e non misurabile in giorni o anni, nel quale non facciamo che spendere energie puramente negative, necessarie a respingere oscure minacce, a cercare un instabile equilibrio tra forze contrarie, a fuggire da ciò che i nostri genitori hanno desiderato per noi. (…) quando ci sentiamo stanchi, non dovremmo pensare solo a ciò che abbiamo fatto, ma all’oscuro lavoro di sottrazione e rinuncia che ci costa la nostra stessa esistenza”

(p. 126)
“(…) ero lì, e tutte le volte di qualunque cosa possono essere le ultime volte”

Libro Due Vite, visto di copertina, accanto a vaso di latta con dentro bulbi di giacinto in fiore, foglie verdi e fiori lilla; si scorge anche una cornice gialla e il piano in marmo chiaro.

Il motore propulsore del libro è quindi la morte, ma lo è anche l’amicizia: quella che lega il narratore a Rocco e a Pia ed il legame tra i due. Tuttavia, mi ha colpita il fatto che di quest’ultimo si parli davvero poco: sappiamo che sono tutti e tre molto intimi, confidenti da una vita, ma il narratore non è interessato ad indagare la relazione tra Roco e Pia, si concentra sempre e solo sulla propria, di amicizia. Ciò è comprensibile, se interpretiamo l’intero libro come uno sforzo di rivivere questo legame, riportare in vita i due amici, anche solo temporaneamente.

Si tratta di un libro colto, zeppo di riferimenti letterari inglesi, italiani e russi, alle correnti interpretative e accademiche, all’arte e alla psicologia; inevitabilmente chiede al proprio lettore di cogliere questi occhiolini, di essere almeno un po’ esperto degli argomenti ai quali si allude. Non mi si fraintenda: Due vite è godibile anche per chi non coglie nessuno di questi riferimenti; tuttavia, credo che sia più corretto dare un tale libro in mano ad un lettore un po’ colto, che non venga esasperato da rimandi continui all’esterno del testo, sia in forma esplicita con citazioni e titoli sia implicitamente con frasi che ne calcano altre più celebri. In questo contesto si inseriscono anche le citazioni dirette dei libri scritti da Rocco e da Pia: un atteggiamento quasi post-moderno intreccia il racconto principale a stralci della produzione dei due protagonisti, con tanto di commento tecnico da parte del narratore. Tutto ciò sembra conferire una suggestione di realismo molto forte: ci si chiede se allora Rocco e Pia non siano esistiti davvero, non siano autori conosciuti, vissuti veramente e veramente deceduti. Anche questo, a voler guardare bene, potrebbe essere un tratto di un post-moderno un po’ più contemporaneo: riferimenti letterari veri, colti, e creazione di un universo che occhieggia fuori dal libro, ma che in realtà è frutto del libro stesso… Realtà e finzione si amalgamano e si fondono; non mi pare, però, che la conclusione sia di chiusura all’esterno e di rifugio nella letteratura, anzi.

“Noi pensiamo di essere infelici per qualche motivo, e non ci rendiamo conto che è proprio l’infelicità a produrre continuamente un suo teatro di cause che in realtà sono solo le sue maschere, e buona parte della nostra vita (…) trascorre alle prese con problemi apparenti.” (pp. 48-49)

Libro Due Vite, visto di copertina, accanto a vaso di latta con dentro bulbi di giacinto in fiore, foglie verdi e fiori lilla; piano in marmo chiaro.


“(…) nelle nostre vite il caso e il più inflessibile concatenarsi degli eventi si assomigliano in modo da diventare esattamente identici – e forse è proprio questa opacità a permetterci di tollerare l’urto delle cose, senza mai farcene una ragione ma finendo per accettarle.” (p. 96)

Descrivendo due vite, due caratteri e le loro relazioni, il narratore, che spesso sembra scomparire dal quale che egli stesso dipinge, ma che è invece sempre ben presente, parla della vita in generale, della ricerca della felicità e dell’accettazione dell’infelicità, del senso che cerchiamo di dare alla nostra esistenza: “la nostra vita ha ben poche possibilità reali di evoluzione, meno ancora di guarigione. Semmai, la capacità più auspicabile è quella di arrendersi a se stessi, perché una parte consistente del dolore che si prova dipende dalla volontà di rimediare all’irrimediabile e dunque di avvelenare quello che è con quello che potrebbe essere.”
(p. 93)

Il mondo ci respinge e ci è estraneo: “ogni perdita di innocenza aumenta in noi il senso desolante dell’estraneità di quel mondo che l’anima si ostina a scambiare per la propria casa.”
(pp. 77-78)

Ciò che conta davvero, sembra suggerire, è quello che creiamo e lasciamo ai posteri, come la produzione letteraria di Rocco e Pia, i legami che abbiamo intessuto e il ricordo in chi ci ha amati.

“(…) si era circondato solo di persone come lui. Che erano in realtà moltissime. Diverse da tutto, nel bene e nel male. Strutturalmente incapaci di stare al mondo: e consapevoli di questo al punto di prenderla a ridere. (…) è proprio quella cosa che di te pensi non vada, quella che più funziona”

(p. 94)

IL LIBRO

> Emanuele Trevi, Due vite, Neri Pozza Editore, Vicenza, 2020.
I edizione, maggio 2020.
III edizione, luglio 2020.



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