Un incredibile percorso museale tra arte, storia e medicina
Venerdì 24 febbraio 2023 – 23 febbraio 2024
A distanza di esattamente un anno ho avuto l’occasione di visitare il percorso museale all’interno dell’Ospedale di Santa Maria Nuova: la prima volta ho partecipato ad un tour di gruppo organizzato in concomitanza di un convegno e ho avuto solo un piccolo assaggio dell’eccezionalità di questa esposizione; per Natale 2023 mia mamma mi ha regalato una visita guidata privata, individuale, che ho sfruttato al massimo, anche grazie alla squisita disponibilità della mia guida, la Dr.ssa Chiara Bartolini, la quale ha il ruolo di Segretario Operativo della Fondazione Santa Maria Nuova. Inutile dirlo: il consiglio, se potete e volete, è proprio di prediligere una visita privata…
In questo articolo cercherò di riassumere ciò che ho avuto modo di apprezzare durante i due tour, integrandolo con alcune ricerche e grazie alla consultazione del bel manuale edito dalla Fondazione stessa e che presenta una descrizione approfondita di tutte le opere.
Innanzitutto, è bene chiarire com’è nata e quali scopi persegue la Fondazione Santa Maria Nuova, Ente del Terzo Settore.
LA FONDAZIONE
La Fondazione Santa Maria Nuova ETS è a tutti gli effetti un Ente del Terzo Settore, ovvero un’organizzazione Non Profit, un’associazione nata nel 2015 per volontà dell’Azienda Sanitaria di Firenze, adesso USL Toscana Centro. Fin da subito, quindi, è stato necessario unire la doppia anima di questo luogo: da una parte l’ospedale e dall’altra l’eccezionale qualità delle opere conservate.
La Fondazione coniuga una finalità sanitaria, ad esempio organizzando convegni di ambito medico e progetti di sperimentazione tecnica e tecnologica, con una di valorizzazione del patrimonio artistico, occupandosi della gestione e dell’amministrazione delle attività connesse al percorso museale dell’area monumentale dell’Ospedale di Santa Maria Nuova.
Inoltre, dal 2020 nella Fondazione sono confluite le funzioni e le attività culturali dell’Associazione Centro di documentazione per la storia dell’assistenza e della sanità, compresa la gestione della relativa biblioteca.
La Fondazione è composta da alcuni dipendenti, da un Consiglio Direttivo e dai volontari. Come abbiamo anticipato, tra i suoi compiti vi è quello della gestione museale; ciò comprende l’organizzazione di visite e laboratori didattici e l’apertura di un “bookshop”, che è il punto sia informativo sia di raccolta delle donazioni.
Un percorso così strutturato presenta caratteristiche uniche, tra cui lo stretto contatto con l’ospedale, dato che il museo è diffuso proprio all’interno. Ciò costituisce una peculiarità straordinaria, un mix inedito tra sanitario e artistico. Tuttavia, questo genera anche alcune difficoltà: le visite possono avvenire solo su prenotazione e devono essere preventivamente comunicate e approvate dalla USL; la fruibilità è limitata, con piccoli gruppi… Dall’altra parte, è un’esperienza rara e unica nel suo genere!
Non vi è un biglietto di ingresso, ma i visitatori possono lasciare delle donazioni, che vanno a contribuire ai progetti della Fondazione, tra cui la manutenzione e il restauro delle opere, le attività di ricerca e le iniziative culturali. Uno degli ultimi grandi progetti è quello della ricostruzione virtuale di come si presentava la Chiesa di Sant’Egidio, in collaborazione con l’Università di Firenze.
STORIA
Santa Maria Nuova è un caso unico: si tratta del più antico ospedale storico in Europa ancora in attività e che può vantare una continuità ininterrotta dalla sua fondazione nel 1288, per volere di Folco Portinari, padre di Beatrice, resa celebre da Dante. L’importante banchiere si era arricchito con il prestito di denaro, che nel Medioevo era associato all’usura e, quindi, al timore di essere destinati all’Inferno. Una delle domestiche della famiglia, Monna Tessa, riuscì a convincere il padrone a compiere un gesto per la salvezza della propria anima… E appena in tempo perché Folco morì un anno dopo la fondazione dell’ospedale!
Tessa divenne famosa per quest’opera e fondò l’ordine delle Oblate ospedaliere, monache che risiedevano proprio davanti all’ospedale. Nella struttura che oggi ospita la biblioteca, infatti, fu da lei creato il Convento delle Oblate, esteso fino alla piccola chiesa, che è adesso l’archivio e che un tempo ospitava la corsia femminile dell’ospedale.
Le monache erano molto attive nel dare supporto agli ammalati. Nell’Ottocento la sezione femminile fu spostata sul lato opposto della piazza e venne appositamente creato un percorso sotterraneo, che possiamo intuire dalla presenza di feritoie nel pavimento lastricato e adibito a parcheggio.
La tradizione non si è fermata: adesso sono tre le suore dell’ordine delle Oblate ancora operative nell’ospedale; sono diplomate infermiere, di origine indiana e risiedono proprio all’interno di Santa Maria Nuova.
Originariamente nell’ospedale fondato da Folco Portinari erano presenti solo 12 letti di legno, che ospitavano uomini e donne, sdraiati per ottimizzare lo spazio in una posizione testa-piedi (2 a letto per gli uomini, 3 per le donne). In solo un secolo questo piccolo ospedale divenne un’istituzione della città.
A cosa dobbiamo tale straordinaria fortuna? Non dobbiamo stupirci: Folco Portinai era un uomo d’affari e un imprenditore e aveva ben pensato al progetto dell’ospedale: lo aveva costruito fuori dalle mura che stavano per essere abbattute e lo aveva improntato ad una concezione moderna. A quei tempi, infatti, erano una trentina le strutture ospedaliere presenti nella zona, ma si trattava di luoghi non specificamente di cura, ma di accoglienza: erano alberghi alle porte della città, per ospitare i pellegrini e i viaggiatori che potevano arrivare in non ottime condizioni di salute e necessitare di cure mediche. L’Ospedale di Santa Maria Nuova, invece, nacque già solo per la cura dei malati.
Un altro motivo è da rintracciare nella peste che nel 1348 devastò la città di Firenze, provocando tante morti, ma anche altrettanti lasciti e donazioni per l’ospedale, che poté così espandersi.
Non a caso, il patrimonio artistico è stato ingente fin dall’inizio sia per valore sia per quantità delle opere d’arte, che sono state commissionate direttamente dall’ospedale oppure ad esso donate. Il primo a tentare di creare un museo dal grande patrimonio a disposizione è stato Alessandro Mazzanti nell’Ottocento. Il progetto, però, è fallito perché costretto a chiudere dopo soli dieci anni a causa dell’incompatibilità con l’attività sanitaria. Perciò, alcuni compratori, tra cui antiquari e musei, iniziarono a formulare proposte per acquistare le opere: fortunatamente quasi la totalità di esse fu venduta allo Stato italiano, che è così riuscito a salvarle e vincolarle ai musei statali fiorentini, come gli Uffizi, la Specola, la Biblioteca biomedica di Careggi, il Bargello. Quest’ultimo, ad esempio, conta ben ventisei opere provenienti da Santa Maria Nuova! Il Trittico Portinari di Hugo van der Goes, uno dei primi dipinti fiamminghi in Italia, è ora conservato agli Uffizi.
Fortunatamente tanto del patrimonio è rimasto: dalla struttura cinquecentesca di Bernardo Buontalenti agli affreschi ad alcune opere…
Tra il Quattrocento e il Cinquecento l’Ospedale di Santa Maria Nuova era il più importante d’Europa e fu preso per modello da altri, tra cui il Savoy di Londra, voluto da Enrico VII e ora trasformato in albergo. Alla fine del Cinquecento, si procedette ad una nuova importante ristrutturazione, in occasione della quale furono chiamati artisti famosi come Alessandro Allori, che realizzò gli affreschi, Giambologna e Buontalenti.
ESTERNO
Prima di iniziare la visita vera e propria del percorso museale che si snoda in varie parti dell’ospedale, diamo un’occhiata alla piazza e alla facciata, dominata da un grande loggiato eretto a scopi celebrativi. L’aspetto attuale di Santa Maria Nuova è il frutto di un progetto che Bernardo Buontalenti, architetto della corte medicea, elaborò intorno al 1574. La morte del granduca Francesco I interruppe l’avvio del cantiere, realizzato solo nel corso del Seicento e del Settecento, in diverse fasi di costruzione.
Quasi simultaneamente, a partire dal 1613-15, fu realizzato inoltre un ciclo di affreschi quale decorazione delle prime sei arcate cieche; il soggetto raffigurato, scene dell’infanzia di Cristo, fu dipinto da Antonio Circignani, detto il Pomarancio (1613-17). Due sono gli affreschi che catturano subito la mia attenzione: la grande Annunciazione (affresco staccato) e la dolce Natività.
Dal Seicento, in seguito alla formalizzazione del protettorato della famiglia Medici sull’ospedale, fu aggiunto un ciclo scultoreo di quattro busti dedicati ai granduchi, ai quali se ne è affiancato un altro nel 1960, omaggio a Bernardo Buontalenti.
Altre due considerazioni sono obbligatorie prima di entrare: la prima riguarda la presenza della Chiesa di Sant’Egidio, antecedente rispetto alla costruzione dell’ospedale e da esso inglobata. Folco Portinari non scelse a caso questa soluzione: la presenza di un luogo di culto importante, e non di una semplice cappella interna, permetteva di ricevere donazioni molto più generose… L’ingresso è libero ed è possibile visitarla separatamente.
Accedendo ad una porta sulla sinistra, inoltre, possiamo percorrere qualche metro prima di incontrare un cancello di ferro: è sufficiente per vedere la lapide raffigurante Monna Tessa in un bassorilievo. La scritta sottostante chiarisce i meriti della donna: serva caritatevole e fedele di Folco Portinai, impegnata nella cura degl’infermi e promotrice della decisione del padrone di fondare l’ospedale (23 giugno 1288).
INTERNO
Entriamo adesso dal nuovo ingresso, a destra della chiesa, inaugurato nel 2014 e corrispondente a dove si trovava la corsia maschile dell’ospedale, edificata tra il 1313 e il 1316. Alla nostra sinistra si apre il bookshop e il punto informazioni della Fondazione Santa Maria Nuova, mentre dall’altro lato c’è la reception per i pazienti e i familiari. Le poltroncine della sala di attesa sono affiancate da due grandi vetrine che espongono alcuni paramenti religiosi.
Siamo immediatamente colpiti dal grande dipinto, copia dell’originale di Bicci di Lorenzo, custodito nelle sale della Direzione. Grazie ad esso possiamo apprezzare come l’ospedale fu ristrutturato nel Trecento e trovare i luoghi ancora oggi esistenti, come la Chiesa di Sant’Egidio, priva il loggiato. Sopra di essa notiamo la terracotta colorata di Dello Delli (1420-24 ca.), che nell’affresco è ancora bianca e azzurra, mentre adesso il colore si è perso (ne rimangono solo poche tracce) e si presenta come possiamo vedere sulla parete porpora. Le due figure sono facilmente individuabili: Maria e Cristo, che la incorona come patrona.
Nel dipinto possiamo intravedere le colonne del chiostro e la suddivisione degli spazi: dopo la valutazione dello stato di salute, i malati erano ricoverati nel corridoio dove ci troviamo adesso e che nell’affresco possiamo intuire dalla porta, da cui siamo entrati anche noi. Si tratta di un’enorme stanza longitudinale, con finestre poste in alto, poiché che si pensava che i miasmi salissero.
L’opera di Bicci di Lorenzo mostra un momento solenne per l’ospedale: l’inaugurazione con papa Martino V, che è baciato dal direttore generale, lo spedalingo (al tempo Michele Fruosino da Panzano in Chianti). Questa figura era scelta tra i componenti del clero delle famiglie più ricche e deteneva a vita un potere economico e religioso.
I ritratti di due spedalinghi ci accompagnano mentre saliamo le scale che portano alla sezione museale del primo piano: si tratta di Ludovico Serristori, dipinto da un ignoto pittore fiorentino della metà del Quattrocento, e di Ludovico Incontri, ritratto sempre da un artista locale nel Cinquecento.
Sempre mentre saliamo, possiamo apprezzare da vicino l’originale di un affresco, staccato insieme a quello di Bicci di Lorenzo e come esso destinato un tempo alla facciata della Chiesa di Sant’Egidio. Anche i soggetti sono i medesimi: lo spedalingo sta chiedendo al papa Martino V di confermare i suoi privilegi, per i quali stringe un foglio in mano. L’autore, Gherardo di Giovanni del Fora (XV sec.), ha scelto uno stile differente, con una suggestione solo ideale e per niente realistica. L’affresco, denominato Conferma della regola agli spedalinghi da parte di Martino V, è stato realizzato con l’intervento di Francesco del Brina nel 1560 ed è stato restaurato nel 2014.
Accanto a questo importante dipinto ne troviamo altri, raffiguranti Spedalinghi e uomini illustri, dipinti ad olio su tela e su tavola del XVI-XVII secolo, riconducibili alla tradizione fiorentina.
Dal ballatoio ci spostiamo al mezzanino: al centro della stanza sono posti due crocifissi, uno in cartapesta, garza e stucco del Seicento (di Felice Palma) e un altro ligneo del Cinquecento (di Lonardo del Tasso). Com’è facile immaginare, i crocifissi erano ovunque nell’ospedale perché un tempo era diffusa la credenza che la malattia del corpo fosse dovuta ad una malattia dell’anima: i pazienti dovevano meditare sul Cristo in croce, pentirsi ed espiare. Ovviamente, la medicina era molto diversa rispetto a quella che usiamo oggi, di carattere scientifico.
In questa piccola sala possiamo osservare da vicino lo stemma dell’ospedale, riprodotto in un rilievo in pietra: è una stampella, che somiglia sia al Tau, cioè l’ultima lettera dell’alfabeto ebraico, sia alla croce. Come nel caso dei crocifissi, i malati si immedesimano nel Cristo sofferente e, quindi, ricevono un potente riscontro, la forza per affrontare le pene della malattia. Ciò conduce alla guarigione del corpo, oltre che dell’anima. Nel Trecento la società era ancora simbolica; perciò, anche l’uomo più semplice sapeva che la stampella era legata ad una determinata simbologia.
Il simbolo dell’ospedale si trovava ovunque: dalle vesti del direttore alle ciotole della mensa fino alle opere d’arte. Ne è un esempio il tabernacolo con portale in bronzo del Ghiberti. L’artista frequentava Santa Maria Nuova insieme ad altri pittori e scultori, poiché era la sede della Compagnia di San Luca, ovvero l’Accademia del Disegno. Qui potevano osservare i corpi nudi per studiarli e riprodurli, oltre che reperire il materiale per creare i colori. La spezieria era condivisa tra medici e artisti, che potevano attingere a spezie, piante, grassi e oli, pietre preziose polverizzate (che erano usate per curare il malato di alto livello, mentre per i pittori il blu oltremare era ricavato, ad esempio, con il lapislazzulo).
Un ultimo oggetto da non perdere nella piccola stanza è l’acquasantiera parietale di manifattura toscana del XVII secolo, di un colore rosato, sorretta da una mano visibile grazie all’ingegnoso allestimento di uno specchio sottostante.
Prima di scendere e visitare gli altri ambienti del museo, ci soffermiamo un momento su due dipinti: il primo ci mostra un incredibile e prezioso uso del colore blu nelle vesti di una Maddalena penitente di Simone Pignoni (1640 ca.); il secondo è il ritratto di Bonifacio Lupi (attribuito a Luca di Cenni da Faenza, XVI sec.), politico e condottiero italiano del Trecento.
Nel 1377 egli fondò a Firenze l’Ospedale di San Giovanni Battista o Ospedale di Bonifacio, in via San Gallo nel palazzo che attualmente è sede della questura. Questo luogo di cura, divenuto nei secoli uno dei principali, accoglieva nel Settecento i malati cronici provenienti da Santa Maria Nuova, i malati della pelle e psichiatrici. Al tempo, infatti, la patologia più diffusa era la sifilide, che prevede un esordio cutaneo e una lunga degenza, con un termine anche nella follia; inoltre, alla fine del XVIII secolo il Granducato di Toscana riconobbe la malattia mentale. L’Ospedale di Bonifacio fu il primo ad operare una differenziazione per patologia e nell’Ottocento si specializzò sulla cura della pelle.
Scendiamo ed entriamo nella sala conferenze, che nel Settecento era uno dei quattro locali per le spezierie: qui venivano conservate le piante secche. Il soffitto è sicuramente la maggiore attrazione: al centro troneggia Flora, la dea della vegetazione.
L’ospedale conservava tanti ingredienti particolari, tra cui la mummia egiziana, ritrovata in un inventario del Trecento e ancora utilizzata fino ad un secolo dopo, perché rara ed esotica e dotata di un corpo antico ed eterno, così che sembrava di somministrare un pezzetto di immortalità. Il ricettario fiorentino quattrocentesco è stato il primo libro sulle dosi e le cure, il primo testo serio in ambito di somministrazione dei medicinali: eppure vi continuiamo a leggere della mummia, che è addirittura descritta nelle sue caratteristiche migliori. Scopriamo, così che essa doveva essere nera, puzzolente e di gusto orribile.
Tra i principi attivi più importanti vi era il veleno, che poteva dare la morte o la guarigione. In greco il termine pharmacon, infatti, indica sia il veleno sia la medicina… La differenza è tutta nella quantità! Inoltre, il veleno era collegato alla morte, perché invisibile.
Cortili
Usciamo nel Cortile delle Medicherie, trasformato in un orto medicinale. Prima questi erano dei veri e propri orti didattici, creati per insegnare ai medici a riconoscere le piante medicinali; ciò era importante perché lo studio avveniva sui libri, le cui immagini erano copiate e dove si trovavano numerosi errori. Quello di Santa Maria Nuova è il più antico orto medico di studio, in cui si applicava la medicina teorica nella pratica.
Da qui possiamo accedere ai piani superiori attraverso due percorsi: il primo consiste in uno stretto corridoio su cui si aprono numerose stanze, oggi utilizzate come uffici dalla Direzione; in alternativa possiamo trattenerci ancora al piano terreno per poi accedere allo scalone monumentale.
In questo secondo percorso passiamo prima sotto ad una lunetta raffigurante una Madonna col Bambino e due angeli di Nanni di Bartolo detto Il Rosso (1415-1419 ca.), scorgendo una terracotta invetriata (Compianto sul Cristo morto di Benedetto Buglioni del 1494) e poi sbuchiamo nel Cortile della Samaritana, conosciuto come Cortile Grande per le sue dimensioni. Qui possiamo ammirare l’affresco della Samaritana al pozzo, dipinto nel 1577 da Alessandro Allori e commissionato dallo spedalingo per questo ambiente, sul quale si affacciava il refettorio del personale che assisteva i malati. Oltre alla parabola edificante, evocata dai due personaggi in primo piano, possiamo notare il paesaggio, realizzato da due artisti della bottega dell’Allori.
Prima di salire al secondo piano visitiamo l’ultimo cortile, denominato Galli Tassi e che un tempo era il Cimitero delle Ossa, poiché qui venivano seppelliti i morti. Ci troviamo esattamente dall’altro lato del cancello che dall’esterno sbarrava la strada dopo la lapide di Monna Tessa…
Nell’Ottocento il cimitero della Chiesa di Sant’Egidio era diventato un importante luogo della memoria con lapidi di personaggi di rilievo, oltre a edifici come il tempietto neoclassico, un mausoleo dedicato al donatore Angiolo Galli-Tassi (1792-1863).
Un’ultima curiosità di questo piccolo chiostro: l’edicola con la pittura di Giovanni Mannozzi detto Giovanni da San Giovanni, raffigurante l’Allegoria della Carità (1619 ca.).
Secondo piano
Siamo arrivati ai piedi della scala monumentale, la cui architettura è tipica del Buontalenti, all’insegna di una grande eleganza. Non a caso, ci troviamo nel quartiere riservato allo spedalingo (adesso della USL); il palazzo era concepito con un approccio nobiliare, dovuto pure al ruolo e alla figura importante del direttore stesso.
Entriamo nel Salone Martino V, che nel Settecento era il teatrino delle commedie dello spedalingo, un luogo di socialità. Alle pareti notiamo un crocifisso di Francesco da San Gallo, una sinopia del disegno preparatorio dell’affresco che abbiamo visto all’ingresso, il dipinto trecentesco della Resurrezione di Gerini Niccolò Di Pietro (1385 ca.), unica opera rimasta del corridoio maschile, il quale era decorato con il racconto della storia del Cristo. Da ciò che rimane di affreschi e opere d’arte possiamo intuire quanto l’ospedale fosse un luogo non cupo e tetro e nemmeno bianco e asettico, ma molto colorato, per attivare e rendere vigili e partecipi gli ammalati.
Nelle vetrine possiamo osservare alcuni oggetti e il regolamento dell’ospedale, redatto sotto Pietro Leopoldo nel 1783 e modello di altri, aggiornato nel 1789 dopo l’aggregazione con l’Ospedale Bonifacio.
Arriviamo infine al matroneo che si affaccia sulla Chiesa di Sant’Egidio, dove le Oblate avevano un panchetto riservato per assistere le funzioni. Nell’opera di musealizzazione, sono stati qui posti numerosi oggetti liturgici, raccolti dalle proprietà terriere toscane, con annesse cappelle, appartenenti all’ospedale. L’archivio, infatti, è ricchissimo di manufatti, tra cui troviamo anche delle mappe catastali finemente decorate e che mostrano i vasti possedimenti. Dal 2022 la Fondazione ha iniziato a organizzare escursioni e conferenze nei vari luoghi, al fine di valorizzarli.
Grazie al pavimento in discesa, che crea un effetto mutuato dal teatro, possiamo ammirare dall’alto la chiesa, nell’assetto conferitole da Buontalenti alla fine del Cinquecento, con l’intonaco in contrasto con la pietra serena e la tipica scalinata “a conchiglia”. Il soffitto risale al Seicento, mentre gli altari sono di un secolo successivo.
Un tempo qui si trovavano alcuni capolavori, alcuni purtroppo perduti, come il ciclo di affreschi di Andrea del Castagno o i dipinti di Pier della Francesca, di cui ne è rimasta solo una traccia conservata al Cenacolo di Sant’Apollonia.
Altre opere sono state dislocate altrove, come il Trittico Portinari agli Uffizi, fondamentale per aver introdotto nel panorama fiorentino la pittura ad olio fiamminga con un’estetica più asciutta e realistica, oltre al concetto di natura morta. Perché originariamente si trovava qui? Il committente era Tommaso Portinari, discendente di Folco e banchiere operante a Bruges e, quindi, in stretto contatto con l’arte fiamminga. Fu lui, perciò, a decidere di portare qui l’opera di Hugo van der Goes, poiché, pur essendo un uomo d’affari, coltivava una grande sensibilità artistica, potendo avere accesso alla cultura, ai libri e ai viaggi.
Prima di uscire, facciamo un salto nel bookshop, dove troviamo l’ultima sorpresa: un affresco di Alessandro Allori, raffigurante Sant’Egidio e San Giovanni, con a sinistra un ragazzo ferito che viene invitato ad entrare nell’ospedale, mentre a destra un uomo vestito di nero indica di andare da un’altra parte al mendicante, che viene così diretto verso le Oblate per ricevere la carità (via Folco Portinari, infatti, era chiamata “via delle pappe” perché lì venivano distribuiti i pasti agli indigenti). Sullo sfondo scorgiamo la corsia dell’ospedale, con i malati nei letti.
La nostra visita si conclude qui: abbiamo scoperto un percorso davvero incredibile, con opere d’arte in costante dialogo con l’ambiente circostante, pezzi unici sapientemente valorizzati dall’installazione e dall’appassionata capacità e conoscenza della nostra guida…
INFORMAZIONI
- Fondazione Santa Maria Nuova: https://www.fondazionesantamarianuova.it/
- Ospedale Santa Maria Nuova: https://www.uslcentro.toscana.it/index.php/ospedali/ospedale-santa-maria-nuova
- Conte Galli Tassi Angiolo: https://epigrafinascoste.blogspot.com/2013/12/galli-tassi-angiolo.html
- Resurrezione di Cristo di Gerini Niccolò Di Pietro:https://catalogo.beniculturali.it/detail/HistoricOrArtisticProperty/0900190269
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