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LA COLLEZIONE DELLA FONDAZIONE CR FIRENZE

Visita guidata “In Collezione”

Sabato 21 ottobre 2023
Visita guidata gratuita – 1h circa

Dopo alcuni anni di assenza, è stato per me un grande piacere visitare di nuovo la Collezione dell’Ente Cassa di Risparmio di Firenze, che apre le proprie porte con l’iniziativa “In Collezione”, attraverso tour guidati gratuiti e prenotabili in alcuni giorni e fasce orarie. La prima volta, nel 2016, ci ero stata con mia mamma e avevamo persino acquistato il catalogo con tutte le opere esposte; nel 2023 ci sono tornata con la mia amica e collega Costanza ed entrambe siamo rimaste piacevolmente colpite.

Dopo aver prenotato tramite email, ci siamo presentate il sabato mattina della visita e, passato il controllo alla reception, siamo state accolte dalla nostra guida, Marta, che ci ha condotte, insieme ad un piccolo gruppo, tra le sale del palazzo.

Fabio Borbottoni, Vedute di Firenze antica, seconda metà sec. XIX.
Fabio Borbottoni, Vedute di Firenze antica, seconda metà sec. XIX.


Storia della Fondazione e della Collezione

Una premessa è obbligatoria: la Fondazione CR Firenze è un ente diverso dall’ex Cassa di Risparmio, ora Banca Intesa San Paolo. La Fondazione, infatti, è nata negli anni Ottanta per occuparsi delle attività filantropiche, appartenendo al mondo del Non Profit ed ereditando e ampliando una serie di attività portate avanti dalla Cassa di Risparmio a partire dall’Ottocento.

Una continuità è senza dubbio segnata dall’interesse e dal legame con il territorio; infatti, tutte le opere esposte sono toscane o in qualche modo connesse con la nostra regione. La Fondazione, inoltre, finanzia attività di Associazioni, Comuni e altri Enti, come il Maggio Musicale Fiorentino, il Teatro della Pergola, Palazzo Strozzi; infine, si dedica a contribuire o a realizzare restauri, come le Rampe del piazzale Michelangelo, e a fornire corsi di formazione in diversi ambiti.

Oggi la Fondazione CR Firenze può vantare una raccolta di opere d’arte di grande pregio, formatasi all’inizio in modo quasi casuale, a partire dagli anni Venti del Novecento, grazie ad acquisizioni effettuate dalla Cassa di Risparmio. Si trattava anche di pegni, saldi di debiti tramite opere, oggetti trovati dentro beni immobili acquistati, come conventi o palazzi. Solo successivamente, nei primi anni 2000, il nucleo centrale della raccolta è stato rilevato dalla Fondazione CR Firenze, la quale ha effettuato nuove e mirate acquisizioni per migliorare contenuti e qualità della collezione, conferendo lo specifico focus incentrato sul territorio toscano e fiorentino.

Ulteriore scopo, oltre a quello della valorizzazione locale, è stato di impedire la dispersione delle opere. Infine, la Fondazione ha voluto contribuire alla diffusione di arte e cultura attraverso visite guidate e il prestito di statue e quadri ad altri musei e realtà.

Al fine di valorizzare il patrimonio artistico raccolto, quindi, la Fondazione ha avviato nel 2016 il programma “In Collezione… Un percorso d’arte dal XIII al XX secolo”. Ciò ha permesso di aprire le porte della sede centrale e di organizzare visite guidate gratuite alla collezione, mettendo le opere a disposizione della comunità e realizzando attività specifiche per bambini e persone fragili. Il percorso espositivo non è un vero e proprio museo, ma si snoda all’interno di uffici e saloni della Fondazione stessa.

Marcello Bacciarelli (attribuito), Ritratto di Pietro Leopoldo d'Asburgo-Lorena, 1760-1765; Ignoto, Ritratto di Anna Maria Luisa de' Medici elettrice palatina, post. 1717.
Ruggero Panera, Piazza San Gallo a Firenze, 1885 ca.


La visita

La nostra visita inizia davanti allo scalone monumentale che conduce al primo piano; entrando per un momento nella grande sala alla nostra sinistra, possiamo ammirare l’unica scultura della collezione: la Dovizia di Giovanni Battista Foggini (1721).

Si tratta della versione originale della scultura di Giovanni Battista Foggini già collocata in cima alla Colonna detta appunto “dell’Abbondanza” o “della Dovizia” in piazza della Repubblica (attualmente al suo posto vi è una copia). Anticamente, quando venne fondata la città nel I sec. a.C., lì si trovava una colonna romana; in seguito, vi fu posta un’opera Donatello, ma il materiale scelto, la pietra serena, determinò il suo deterioramento e fu persa. Nel 1723 la statua venne sostituita con quella del Foggini, celebre autore del barocco fiorentino. Come possiamo notare, anche quest’opera si è deteriorata nel tempo: per questo, fu prima posta nel convento di San Marco e poi acquistata dalla Fondazione.

La colonna con la statua dell’abbondanza si trovava nella piazza centrale del vecchio quartiere del ghetto, demolito negli anni Ottanta dell’Ottocento, in occasione della riqualificazione urbana che voleva eliminare le zone più popolari e malfamate, non adatte al ruolo di capitale d’Italia, assunto da Firenze in quegli anni.

Ruggero Panera, Ritorno dalle corse alle Cascine, 1885.
Ruggero Panera, Il passaggio di un drappello di artiglieria da piazza San Gallo, 1885.

Davanti allo scalone monumentale possiamo dare un’occhiata a come si presentava la piazza con il mercato, grazie ad un quadro attribuito a Filippo Angeli, detto Filippo Napoletano, Veduta della piazza di Mercato Vecchio a Firenze (primo trentennio del XVII secolo).

Salendo le scale, tra le due rampe, ci imbattiamo nei ritratti di Pietro Leopoldo d’Asburgo-Lorena, attribuito a Marcello Bacciarelli (1760-5), e di Anna Maria Luisa de’ Medici Elettrice Palatina. Quest’ultima ebbe un ruolo fondamentale nella storia di Firenze: ultima dei Medici, in quanto il fratello Giangastone era morto, traghettò il Granducato sotto la dinastia dei Lorena, in particolare sotto Francesco Stefano, che non era interessato alla città. Il primo ad avere a cuore Firenze fu Pietro Leopoldo che si fece promotore di bonifiche e riforme, come l’abolizione della pena di morte. I Lorena, comunque, rimasero al potere, tranne che per la parentesi napoleonica, fino al 1861, quando il Granducato si unì al Regno d’Italia.

Il ritratto di Anna Maria Luisa de’ Medici, dipinto da un pittore ignoto, la raffigura in lutto, poiché suo marito era morto; emerge la sua passione per i gioielli, che sono oggi conservati al Museo degli Argenti. La Granduchessa, quando capì che l’intero patrimonio sarebbe passato ai Lorena, stipulò con loro il Patto di Famiglia, attraverso il quale vincolò tutte le collezioni mobili alla città di Firenze, impedendo che potessero essere spostate o vendute, cosa che sarebbe certamente accaduta poiché i Medici lasciarono ai successori ingenti debiti. Dal canto loro, i Lorena rispettarono il patto, fecero ordine nel patrimonio e aprirono le gallerie al pubblico, tra cui gli Uffizi. Il ritratto fu commissionato da Niccolò III de’ Medici, un ramo minore della famiglia, a cui Anna Maria Luisa lasciò una parte dell’eredità; si tratta, quindi un ringraziamento. Non a caso, un quadro gemello si trova nel palazzo Peruzzi, famiglia che si imparentò con i Medici.

Giovanni Fattori, Buoi al pascolo, 1886.
Eugenio Cecconi, La lacciaia, 1879.


Altre due opere popolano questi ambienti: il Ritratto di George Clavering Nassau, lord Fordwich, terzo conte di Cowper (1770-3) di Anton Raphael Mengs, e un bell’oggetto decorativo prodotto dalla Manifattura di Doccia, il Trionfo con tritoni, amorino e ramo di corallo della metà del XVIII secolo.

Primo piano

Terminato lo scalone entriamo nella prima sala alla nostra sinistra, interamente dedicata ai Macchiaioli, pittori molto legati alla società contemporanea e che improntavano i loro quadri ad un approccio quotidiano e semplice, raccontando scene di vita di tutti i giorni. Da una parte, notiamo l’impatto della rivoluzione industriale, che modifica l’assetto urbano delle città in seguito alla necessaria creazione di nuovi quartieri in cui abitare.

Ciò emerge dai tre oli su tela di Panerai, che raffigura Il passaggio di un drappello di artiglieria da piazza San Gallo (1885), Piazza San Gallo a Firenze (1883) e Ritorno dalle corse alle Cascine (1885). Nei primi due, piazza della Libertà è raffigurata con l’Arco di San Gallo, appartenente alla cinta medievale, e con l’Arco di trionfo eretto per celebrare l’arrivo di Francesco Stefano di Lorena. Osservando i dipinti possiamo notare gli usi e i costumi, la moda del tempo; notiamo la bambina ben vestita e protetta dal freddo, accanto a quella povera… Alle Cascine la folla sta tornando dopo aver assistito ad una corsa in bicicletta o di cavalli, che costituiva il principale svago domenicale.

Altro tema, contrapposto a quello della città, è fornito dalla campagna, come luogo di svago e tranquillità. Questo ci comunica il dipinto di Giovanni Fattori, Buoi al pascolo (1885), dove possiamo distinguere facilmente le macchie di colore tipiche della corrente dei Macchiaioli, il cui intento era quello di rappresentare ciò che vedono. Ne La lacciaia (1879) Eugenio Cecconi raffigura una scena con il buttero che prende al laccio una vacca, nella zona della Maremma, mentre la famiglia della Gherardesca, i proprietari terrieri, rimangono in disparte.

Giotto, San Francesco, San Giovanni Battista, 1320 ca.


L’atmosfera cambia completamente nella stanza successiva, di piccole dimensioni e decorata in stile Liberty, evidente fin dal portone di accesso. Le sale delle riunioni 1 e 2 presentano pitture murali e pavimento in cotto che risalgono a un ampio programma decorativo che coinvolse alcune sale di rappresentanza e le porte vetrate dell’ingresso principale su via Bufalini, da cui siamo entrati. L’allora presidente, Guglielmo Pecori Girardi commissionò la realizzazione della decorazione a Galileo e Tito Chini nel 1929, per celebrare il centenario della fondazione della Cassa di Risparmio. Ciò che resta è sufficiente per immergere i visitatori in un clima contraddistinto da un forte spirito eclettico, con varie matrici e stili.

Le pitture murali raffigurano trompe-l’oeil ispirati alle tarsie degli studioli rinascimentali e due mappe geografiche della Toscana: l’una al tempo del Granducato, l’altra con la dislocazione delle filiali della Cassa di Risparmio. Il ciclo è completato da una veduta di Firenze ripresa da un’antica rappresentazione della città.

[Per gli appassionati del Liberty, di Chini sono imperdibili le Terme delle Tamerici a Montecatini.]

La piccola stanza in cui ci troviamo è dedicata al Medioevo ed è conosciuta come la “stanza dai fondi oro”: appese alle pareti, infatti, ammiriamo tavole di legno con questo tipo di fondo, realizzato nel Medioevo con una foglia d’oro apposta sulla tavola dopo averla preparata con una sostanza rossastra, che adesso vediamo emergere là dove la lamina è caduta. I soggetti sono religiosi, privi di alcun paesaggio e dominati da una resa bidimensionale, stilizzati secondo uno gusto che dominerà fino al Rinascimento, quando l’Umanesimo metterà nuovamente al centro l’essere umano. Com’è facile indovinare, i dipinti qui esposti si trovavano in origine in alcune chiese e furono acquistati da un antiquario, Carlo De Carli.

Bicci di Lorenzo, Incoronazione della Vergine, 1419.
Francesco Botticini, Madonna che adorna il Bambino, seconda metà sec. XV.


Giotto operò un’importante rivoluzione attraverso la realizzazione di una spazialità intuitiva, non ancora prospettica: cercò di rendere nella pittura la tridimensionalità del mondo, senza utilizzare regole matematiche. Del grande artista abbiamo qui due quadretti minuscoli del 1320 circa, raffiguranti San Francesco e San Giovanni Battista, di cui apprezziamo l’attenzione ai dettagli. Sono due frammenti di un polittico più grande e, infatti, si trovavano in una predella.

Altro dipinto di notevole importanza è la tempera su tavola di Bicci di Lorenzo, Incoronazione della Vergine tra angeli e santi (1419 circa): la prospettiva è realizzata su un fondo oro, le figure sono stilizzate e prive di espressioni, la tecnica utilizzata è quella della punzonatura. Nel pieno del Rinascimento questo artista ha scelto di continuare a preferire uno stile medievale.

La sala successiva è dominata da uno dei più grandi tondi esistenti, dipinto da Filippino Lippi e raffigurante la Madonna col Bambino e angeli (1485-1486). I tondi erano quadri di devozione privata, usati solitamente nelle camere da letto e prodotto dell’evoluzione della tradizione dei deschi da parto, portati in dono alla donna che aveva appena partorito. Questo dipinto si trovava nella camera del principe Filippo Corsini e si ipotizza che la committenza fosse medicea; la famiglia Corsini, infatti, comprò opere provenienti dalla villa medicea di Careggi.

Filippino Lippi, Madonna col Bambino e angeli, 1485-1486.
Vincenzo Maria Coronelli, Globo terrestre e Globo celeste, 1692-1693. Dietro: Mariotto di Nardo, Madonna in trono con Bambino e Santi, primo ventennio sec. XV.

La Madonna tiene in braccio il figlio, che sta scegliendo i fiori dal piatto porto da due angeli; compone un mazzolino da regalare alla madre, mentre accanto tre angeli cantano e tengono il tempo con le mani, sorreggendo uno sparito con un canto chiamato “O mia fortuna disperata”, una canzone dedicata a Simonetta Vespucci, amata platonicamente da Giuliano de’ Medici e nota come la donna più bella di Firenze. Giuliano dedicò una giostra all’amata e Poliziano vi compose un’opera… Da questo indizio capiamo che probabilmente furono i Medici stessi i committenti, mentre i Corsini acquistarono il tondo successivamente. Dal punto di vista stilistico possiamo individuare l’influenza da parte di Botticelli, anche se le figure risultano più allungate e la composizione non è perfettamente centrata; altre citazioni provengono da Verrocchio, mentre il paesaggio sullo sfondo è d’ispirazione leonardesca. 

[Della famiglia Corsini, abbiamo visitato una delle dimore più importanti, la Villa Corsini a Castello, proprio accanto a quella medicea della Petraia.]

Due opere particolarmente belle sono un altro tondo, Madonna in adorazione del Bambino di Francesco Botticini della seconda metà del XV secolo, e una terracotta invetriata del 1495 circa di Andrea della Robbia, raffigurante Cristo in pietà.

La sala successiva è una delle mie preferite dell’intera collezione: ci troviamo nella sala d’attesa, le cui pareti sono completamente occupate dalle Vedute di Firenze antica dipinte da Fabio Borbottoni nella seconda metà dell’Ottocento. Ben 124 quadretti testimoniano come appariva Firenze prima delle trasformazioni urbanistiche che l’avrebbero mutata irreversibilmente.

Fabio Borbottoni, Vedute di Firenze antica, seconda metà sec. XIX.
Fabio Borbottoni, Vedute di Firenze antica, seconda metà sec. XIX.

Le vedute di Borbottoni sono di solito molto fedeli a com’era la città durante i suoi anni, anche se talvolta era preso da uno spirito romantico che lo spingeva ad aggiungere elementi, come la Chiesa di San Pier Scheggiato, già scomparsa a metà del Cinquecento. Passando in rassegna i quadretti ci immergiamo tra i vicoli e le piazze di Firenze: da Beccaria alla Repubblica con i banchi e la loggia del pesce fino a Ponte alle Grazie con i romitori trecenteschi delle suore di clausura, chiamate le murate, che poi si spostarono nell’omonimo convento, trasformato in carceri nell’Ottocento.

La grande sala successiva è utilizzata per i consigli e le conferenze. La parete è occupata in primo luogo da un affresco del Perugino, Compianto sul Cristo morto (1487 circa), staccato dalla Chiesa di San Pier Maggiore, dove si trovava nella Cappella degli Albizi. Due opere del Vasari sono un raro esempio di dipinti autografi: San Domenico e San Donato (1563-4), realizzati per la moglie.

L’ultima stanza del piano riassume esempi di arte contemporanea: dalla soleggiata Allegoria della danza e della musica per un cinematografo (1948) di Giovanni Colacicchi, realizzata per la nascita del cinema Gambrinus e destinata ad essere posta sopra la sua biglietteria, ai tre dipinti di Primo Conti, Darsena a Viareggio (1915), Ritratto di uomo con fiasco e bicchiere (1915) e Natura morta (1914), nei quali sono evidenti le influenze francesi delle Avanguardie, fino a Viani (Gli inglesi a Bagni di Lucca, 1927-8), Soffici (Campi d’autunno, 1907) e Casorati (La Vestale (Atto 1), 1933).

Il Perugino, Compianto sul Cristo morto, 1497 ca.
Primo Conti, Ritratto di uomo con fiasco e bicchiere, 1915; Primo Conti, Natura morta, 1914; Lorenzo Viani, Gli inglesi a Bagni di Lucca, 1927-1928.

Area Scalone Michelucci

Scendendo nuovamente al piano terreno entriamo nell’area più moderna del palazzo, creata da Giovanni Michelucci, al quale fu affidato il compito di riorganizzare in maniera razionale gli spazi funzionali che derivavano dall’accorpamento di edifici di epoche diverse, dove la vecchia Cassa di Risparmio, fondata nel 1829, si era insediata fin dal 1865. L’inaugurazione del nuovo edificio avvenne nel 1957 e rappresentò un simbolo di un rapporto dinamico tra interno ed esterno, che dialogano attraverso l’uso di appropriate volumetrie, come le ampie pareti vetrate che si affacciano sul giardino. Michelucci, inoltre, utilizzò il cemento armato e altri materiali innovati per l’epoca, con abbinamenti architettonici inusuali.

Scendendo lo scalone apprezziamo i due globi, terrestre e celeste, di Vincenzo Maria Caronelli della fine del Seicento, e i grandi quadri del realismo di fine Ottocento: Ultime vangate di Angiolo Tommasi (1892) e Le gramignaie al fiume di Niccolò Cannicci (1896).

Giovanni Colacicchi, Allegoria della danza e della musica per un cinematografo, 1948.
Giovani Domenico Ferretti, I travestimenti di Arlecchino, 1746-1749.

Rientriamo nel salone che ospita l’unica statua della collezione e, dall’altro lato rispetto ad essa, osserviamo il Gabinetto degli Arlecchini, dedicato a citazioni tipiche della contemporaneità del Settecento e a burle.

La famiglia Sansedoni fu una grande committente di questo tipo di quadri, commissionati in primo luogo a Giovanni Domenico Ferretti, che ha realizzato le opere qui esposte tra il 1746 e il 1749 (I travestimenti di Arlecchino). Fu Orazio Sansedoni (1680-1751) ad allestire il Gabinetto degli Arlecchini nella sua casa a Firenze: un salotto interamente tappezzato dalle tele con I travestimenti di Arlecchino, una serie di sedici quadri.

La visita termina qui dove è cominciata e alla reception ci viene consegnato in omaggio un libriccino con alcuni dettagli e i nomi delle opere che abbiamo ammirato. Trovo straordinario l’impegno della Fondazione nel divulgare la cultura e l’arte racchiuse nella sua collezione: un’occasione unica per godere di opere altrimenti precluse al pubblico…


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