Giorno 1 – Cena a Modena, bellezza e riflessione sopra Pampeago
Siamo partiti la sera di giovedì 6 agosto (il giorno del mio compleanno), subito dopo lavoro. Da Firenze a Cavalese sono circa tre ore e mezza di viaggio, ma stavolta abbiamo deciso di fare una breve tappa intermedia: ci siamo fermati a cena a Modena. Stancante, certo, ma ne è valsa la pena.
Avevamo prenotato in un grazioso ristorante nel centro della città: I Picari. I tavolini sulla via, la quiete della sera e un poco di musica dal vivo in sottofondo ci hanno accompagnati per una cena piuttosto buona. Onestamente, l’uovo su fonduta di parmigiano e tartufo fresco è stato un piatto per me fonte di grande gioia… Concluso il pasto, sebbene fosse già tardi, abbiamo deciso di fare un giro per il centro, passando dal Duomo, incredibile nel suo stile romanico. Una passeggiata per le vie, poi, è davvero gradevole: molti sono i locali aperti, ma non c’è confusione e soprattutto possiamo passare attraverso i numerosi portici e godere degli scorci sulle case, alcune della quali sono delle vere opere d’arte.
Un consiglio: per il parcheggio è vincente la scelta del Parco Sandro Pertini, proprio accanto al centro della città ed in cui è facile trovare posti liberi.
Arriviamo al Villaggio Veronza, sopra Cavalese, all’una passata… La luna che illumina il profilo delle montagne è l’unica luce; grande e vicina, quasi piena, detta i contorni delle cose, rischiara la strada e gli alberi, getta le ombre delle case.
Lunghezza complessiva | 7km |
Tempo di percorrenza | 2h30min/3h |
Grado di difficoltà | Facile |
Svegliarsi il giorno successivo (7 agosto) non è il trauma che si potrebbe immaginare. Abbiamo preferito non “perdere tempo” disfacendo valige e compiendo i piccoli lavori domestici che pure aggravano le vacanze di chi ha la fortuna di possedere una seconda casa. A un’ora piuttosto ragionevole, ci avviamo verso Pampeago, decisi a seguire un percorso nello splendido Parco d’Arte RespirArt… Solo che Google Maps sbaglia strada! Risparmio qui le peripezie e la smania per giungere a destinazione; basti un dato di fatto: invece di 30 minuti impieghiamo un’ora e mezza con conseguente grande scoramento della sottoscritta che già era pronta a mandare tutto a monte e tornare a casa (credo che i maniaci del controllo possano comprendere la mia frustrazione…). Insomma, alla fine riusciamo a raggiungere Pampeago e, poco sopra, il parcheggio della seggiovia Tresca. E qui un altro imprevisto: la comodissima sbarra di plastica che delimita lo spazio dedicato ai posti auto non fa il suo dovere e riga da parte a parte il lato destro della macchina di Lorenzo. Seguono imprecazioni, scatti d’ira e crolli emotivi di vario tipo e natura.
Per fortuna (e qui devo rendere merito solo al mio compagno perché a questo punto sarei tornata direttamente a Firenze) cominciamo il percorso, seguendo il sentiero n. 514. Per fortuna, dico, perché, nonostante tutto, è un luogo stupendo, di un incanto e di un fascino straordinario e che merita senza alcun dubbio una visita.
Dalla seggiovia Tresca si sale in modo piuttosto ripido fino allo Chalet Caserina, dove (dato che sono già le due del pomeriggio) ci fermiamo per un pranzo al sacco. Il panorama è già incantevole: si gode della vista degli alpeggi, dei prati verdeggianti, di altre malghe, rocce e alberi sulle cime. Davanti allo Chalet comincia il percorso del RespirArt: consiglio di prendere una delle cartine in omaggio perché permettono di seguire il percorso con spiegazioni semplici ed efficaci di ciascun’opera. Ma di che tipo di arte stiamo parlando?
La land art è una forma d’arte contemporanea, nota anche come earth art o earth works, nata intorno al 1967 negli Stati Uniti e caratterizzata dall’abbandono dei mezzi artistici tradizionali per un intervento diretto dell’operatore nella e sulla natura. Fra i 21 musei a cielo aperto presenti in Italia, quello di Pampeago, sulla catena del Latemar, è il più alto: esso si snoda infatti a 2.200 metri. In questo luogo, curato da Beatrice Calamari e dall’artista Marco Nones, dal 2011 gli artisti si alternano ogni estate. Riporto quanto descritto nella brochure del parco, perché esprime, a mio parere, l’essenza di tale tipo di arte ed esperienza: “Il gesto creativo di “lasciare andare” opere d’arte nella natura invita ad affidarsi ai mutamenti e, quindi, alla vita stessa che è continua trasformazione. Gli agenti atmosferici non rovinano le opere, tutt’altro, essi le completano, plasmandole e mutandone i colori. RespirArt invita a RILASSARSI NELLA CONTINUA MUTEVOLEZZA della natura. Le sue opere permettono di scoprire il senso di meraviglia, cogliendo il “nuovo” come un’opportunità irripetibile”. E’ davvero così: lo si coglie durante il percorso, vedendo come le condizioni meteorologiche hanno mutato le istallazioni, variandone i colori, facendo ritornare alcuni degli elementi che le compongono alla natura, alla quale appartengono. Sono opere pensate e create per quello spazio, lo si capisce, lo si apprezza. E’ un’arte che invita a fermarsi e a riflettere: uomo, natura, cultura…
Spinti dallo spirito della scoperta siamo saliti fino al Rifugio Monte Agnello, da cui si gode del migliore panorama sulle montagne circostanti ed è presente una delle numerose opere che mi hanno colpita: Harmonia di Dorota Koziara (2016), in cui due corpi, schiena contro schiena, sono protesi alla ricezione dell’energia universale delle Dolomiti. Da qui, non a caso, si scorgono anche le Pale di San Martino.
Artisti da tutto il mondo, ma con un occhio particolare dedicato a quelli italiani, la maggioranza proprio trentini, utilizzano elementi naturali: incredibile è il lavoro di Hanna Streefkerk, Simbiosi (2015), che ha tessuto a mano dei licheni fino a ricreare un planisfero su un gruppo di alberi. Per Point sono stati utilizzati i legni degli abeti rossi, sradicati dalla tempesta che si è abbattuta sulla Val di Fiemme nel 2019; l’opera Déodat deDolomieu ricrea una figura umana riciclando i tetti di vecchie baite dolomitiche e così via…
Concludendo il giro ad anello, ci siamo fermati per una sosta/merenda allo Chalet Caserina. Consigliatissimo non solo per la comodità e l’eleganza, ma anche per l’ottima cioccolata calda!
E’ la degna conclusione di un percorso di due ore e mezzo in cui ci siamo immersi nella natura, ne abbiamo ammirato la possenza, riflettendo su come l’opera stessa dell’uomo possa incastrarsi all’interno di essa. Gli esseri umani si collocano sempre come spettatori, anche della natura: dovremmo, invece, considerarci parte integrante di essa, un granello in costante movimento, partecipe della sua immensa bellezza e del mistero del significato che custodisce.
Completiamo la discesa e ripartiamo verso casa: ci attendono valige da disfare e faccende domestiche ancora da cominciare. Ceniamo a casa e riposiamo: domani ci attende una giornata piena di adrenalina…
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