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FOTOGRAFIA, ARCHIVI E COLLEZIONI 

Una conferenza al Palazzo Magnifica Comunità di Cavalese 

Venerdì 29 dicembre 2023 

La conferenza, organizzata venerdì 29 dicembre 2023, presso il Salone Clesiano del Palazzo Magnifica Comunità di Cavalese, è stata pensata in stretta connessione con la mostra temporanea “Allevatori, pastori, contadini e boscaioli di Fiemme. Scatti rurali dal passato”. Con grande piacere, ho ricevuto e sono riuscita a cogliere una sollecitazione a partecipare da parte di Tommaso Dossi, uno dei curatori della mostra stessa, aperta dal 15 luglio 2023 al 28 aprile 2024. 


Il bellissimo salone del Palazzo Magnifica Comunità è un ambiente eccezionale e, insieme al Museo, merita senza alcun dubbio una visita. Poter assistere ad una conferenza in una simile location, quindi, è senza dubbio piacevole. Ci hanno accolti i saluti iniziali, a cura della Magnifica Comunità e dello stesso Tommaso Dossi, che ha chiarito il collegamento tra l’iniziativa Fotografia, Archivi e Collezioni e la mostra temporanea Allevatori, pastori, contadini e boscaioli di Fiemme. Scatti rurali dal passato, realizzata al fine di valorizzare l’importante patrimonio fotografico conservato presso l’Archivio storico e nella quale sono stati esposti alcuni scatti inediti eseguiti tra la fine dell’Ottocento e gli anni Sessanta del Novecento. 

Nell’archivio conservato al Palazzo Magnifica Comunità sono annoverate migliaia di immagini, tra cui spiccano alcuni ritratti eseguiti da fotografi professionisti dell’epoca, come il trentino Giovanni Battista Unterveger e i fiemmesi Mario Bragagna e Francesco March, e alcune foto di paesaggio e di interesse selvicolturale, scattate dall’allora Economo forestale Guido Koch. La maggioranza delle immagini, però, sono di autori anonimi e sono confluite nell’archivio in tempi e modalità molteplici. 

La mostra, curata da Roberto Daprà, Tommaso Dossi e Alice Zottele, in collaborazione con Giada Paluselli, mette in risalto il mondo rurale della Val di Fiemme, una realtà sociale quasi scomparsa e che aveva come protagonisti contadini, boscaioli e altri uomini e donne impiegate in attività tradizionali legate al territorio.  

La conferenza mira ad inserire in un quadro più ampio e complesso l’archivio e le foto del Palazzo Magnifica Comunità. La Dr.ssa Sabrina Meneghini, infatti, è un’esperta di archivi e collezioni, soprattutto di tipo fotografico.  

Mostra "Allevatori, pastori, contadini e boscaioli di Fiemme. Scatti rurali dal passato" al Palazzo Magnifica Comunità di Fiemme.
Foto esposta alla mostra.


L’ARCHIVIO 

La sua relazione inizia con una panoramica generale su archivi fotografici personali e istituzionali: perché sono state create queste collezioni? Ogni archivio ha la propria storia e solitamente non comprende solo fotografie, ma anche altri materiali, come lettere, dipinti, disegni.  

Innanzitutto, è fondamentale capire cos’è un archivio. L’Oxford Dictionary fornisce una definizione semplice, ma completa: si tratta della “raccolta ordinata e sistematica di atti e documenti la cui conservazione sia ritenuta di interesse pubblico o privato”. Perciò, un archivio è un insieme ordinato e catalogato, una raccolta di documenti che testimoniano qualcosa.  

Importante è comprendere fin da subito che ha una sua dinamicità. Inoltre, vi è una forte componente personale nella creazione e nella catalogazione, come, ad esempio, nella scelta di cosa scrivere sulla didascalia di una foto o di un altro oggetto. Quando ci approcciamo ad un archivio, quindi, dobbiamo capire la prospettiva di chi lo ha creato, quali fossero i suoi scopi politici o privati.  

L’archivio fotografico ha avuto origine con l’avvento della fotografia, che ha avuto un forte impatto nel rievocare gli eventi vissuti nella vita personale di ciascuno, ma anche relativi alla storia e alla cultura. Adesso abbiamo foto prevalentemente digitali, ma permane un tipo di immagine particolare: la fototessera, che è molto presente nel nostro quotidiano (ad es. nella patente o nella carta d’identità o in altri documenti).


FOTOGRAFIA E CRIMINOLOGIA, MEDICINA E COLONIALISMO 

La nascita della fotografia è fissata in una data specifica: lunedì 19 agosto 1839, quando la nuova invenzione fu presentata ufficialmente ai parigini presso l’Accademia delle Scienze e quelle della Arti Visive. In un primo momento la fotografia sembrava potesse esprimere la verità: era considerata testimone affidabile della realtà e, quindi, largamente usata per raccogliere dati. 

La fotografia si è diffusa in tre aree, che hanno prodotto altrettanti tipi di archivi: l’ambito della criminologia, della medicina e del colonialismo. 

La prima ha fatto uso delle foto per raccogliere, conservare e classificare informazioni sulle persone e ha dato avvio a discipline come la fisiognomica, poi strettamente collegata al concetto di razza, e la fenologia. Quest’ultima disciplina, di carattere pseudoscientifico, si diffuse nell’Ottocento e fu ideata e promossa dal medico tedesco Franz Joseph Gall, secondo il quale la valutazione di particolarità morfologiche del cranio di una persona, come linee, depressioni e bozze, permetterebbe di determinare le qualità psichiche dell’individuo e la sua personalità. La criminologia attinse anche all’antropometria, la scienza che si occupa di misurare il corpo umano e le sue componenti, al fine di identificare i criminali attraverso determinati tratti fisici. Tutte queste discipline erano usate a sostegno dell’idea che certe caratteristiche fisiche implicassero maggiori probabilità di sviluppare comportamenti criminali

Dalla seconda metà dell’Ottocento i commissari delle carceri iniziarono a scattare numerose foto segnaletiche. Tuttavia, questa documentazione non era prodotta in modo neutro: le immagini volevano suggerire che i criminali avessero un aspetto effettivamente criminale; quindi, le foto evidenziavano proprio determinati tratti. Fondamentale era poi la creazione dell’archivio per recuperare e attingere facilmente alle foto. 

Esempio di foto in ambito criminologico.
Esempio di foto in ambito psichiatrico.

Il secondo ambito è quello medico: lo psichiatra Hugh W. Diamond, definito il “padre della fotografia psichiatrica”, è stato il primo ad utilizzare la fotografia con scopi di cura. Tramite le foto, infatti, Diamond documentava le espressioni facciali di chi era affetto da malattie mentali, oltre a presagire carattere e personalità dai tratti del viso. Inoltre, durante la terapia, il medico mostrava ai pazienti le immagini di loro stessi. 

L’ultimo campo di massiccia applicazione della fotografia è quello coloniale per documentare persone e luoghi. I vasti imperi dei Paesi occidentali necessitavano di conoscere le terre conquistate: la diffusione dell’uso delle foto corrisponde alla massima espansione coloniale nell’Ottocento. Le immagini erano scattate da esploratori, ufficiali, antropologi, viaggiatori e tanti altri. 

In ambito coloniale le foto servivano per giustificare la funzione civilizzatrice dei conquistatori, mostrando il progresso portato. I popoli autoctoni erano documentati sottolineandone lo stato di inferiorità. Discipline come antropologia ed etnografie furono in un primo momento connesse al colonialismo e utilizzarono per i propri studi le foto prodotte. Attinsero pure dall’antropometria: il corpo delle persone indigene era misurato per attribuire certe caratteristiche. Le foto, quindi, erano importanti non solo per conoscere, ma anche per esercitare un controllo. 

Esempio di foto in ambito etnografico (fachiro).


Nella produzione di questi archivi, le foto riproducevano gli individui, che erano oggettivati e caratterizzati; attraverso le immagini erano identificati criminali, pazzi e popoli culturalmente inferiori! Le persone erano considerate come oggetti, persino senza i loro nomi annotati.  

Se osserviamo adesso queste foto ci leggiamo più i pregiudizi di chi le ha scattate, non tanto qualcosa sui soggetti rappresentati. Erano usate per supportare ideologie legate all’identità e alla differenza, segnando un’impronta e un’impostazione profonda e duratura, di cui risentiamo ancora oggi. 

IL COLLEZIONISMO DI FOTO 

Dopo questo excursus, torniamo al concetto di collezione come una raccolta ordinata di oggetti e documenti archiviati secondo determinati principi. Quando ci approcciamo ad un archivio, quindi, è importantissimo chiederci come, quando e con quale scopo le foto sono state acquisite

Il collezionismo di foto ha inizio con la diffusione della fotografia al pubblico. È interessante notare come adesso utilizziamo per scopi diversi immagini scattate nel privato; ad esempio, esse possono essere rivendute all’usato oppure inserite in delle mostre o esposte a fini culturali. A partire dagli anni Ottanta dell’Ottocento comincia una fruizione moderna delle foto, come l’esibizione di ritratti in belle cornici o la raccolta in album privati. I paesaggi erano raffigurati con uno scopo illustrativo e/o informativo, ad esempio per documentare eventi storici e naturali oppure opere ingegneristiche. 

Nella mostra adibita presso il Palazzo Magnifica Comunità di Fiemme è esposto un album fotografico, realizzato per l’Esposizione Universale di Parigi, al fine di mostrare la gestione del patrimonio boschivo della Val di Fiemme. I materiali scelti, legno e cuoio, denunciano l’importanza dell’oggetto e la possibilità di essere non solo esposto, ma anche maneggiato e toccato da molte mani. All’interno le foto presentano dettagli molto nitidi, prodotti con una tecnica di pregio. La struttura solida, le pagine lavorate e le belle foto indicano che l’album era stato pensato per durare nel tempo. 

Il principe Alberto d'Inghilterra e la regina Vittoria.
Regina Vittoria d'Inghilterra.

Conservato nell’archivio del Palazzo e ora esposto in mostra, è un esempio di un cambiamento di scopo di una serie di fotografie. Un altro caso molto frequente è il trasporto da collezione private, e da una dimensione intima e personale, all’esposizione in musei, con una funzione istituzionale e pubblica. Ne sono un esempio le foto della regina Vittoria e del principe Alberto d’Inghilterra; la regina, infatti, amava le foto, che al tempo erano una novità, e ne fece scattare per ritrarre la famiglia e utilizzarle nel privato, mentre adesso sono esposte al pubblico all’Albert Museum di Londra. 

Sempre in Inghilterra, la Royal Commonwealth Society vanta un archivio gigantesco, creato per raccogliere informazioni sulle colonie. Nel 1991 è stata messa in vendita la sua biblioteca, che si è salvata grazie ad una raccolta fondi: così, l’archivio è stato spostato nell’ambiente accademico dell’università di Cambridge. Bombe, furti, crisi economiche hanno minacciato la collezione, che adesso è una delle più ampie e diversificate. Le foto conservate provengono da collezioni private, confluite in un patrimonio pubblico.  

La medesima trasformazione è avvenuta quando si è formato l’archivio della Magnifica Comunità, ospitato al terzo piano del Palazzo di Cavalese. Numerose foto non riportano una data specifica o una didascalia: quando sono state scattate? Chi sono le persone raffigurate? Come sono vestite? Che paesaggio si apre sullo sfondo? L’archivio contiene foto di anni diversi, alcune con scritte a matita sul retro. 

Palazzo Magnifica Comunità di Cavalese e Chiesa di San Sebastiano.

In occasione della mostra Scatti rurali, la Magnifica Comunità ha lanciato un appello, coinvolgendo la popolazione, chiamata ad interpretare e datare le foto e identificarne i soggetti. Viene promossa, quindi, una conservazione non passiva, una costruzione collettiva della memoria

Questo processo è importante per la catalogazione, per l’ampliamento dell’archivio (alcuni hanno portato e donato altre immagini), per la restituzione e il rimpatrio. Stabilire la provenienza degli oggetti museali, infatti, è un tema fondamentale per scongiurare l’acquisizione da furti (come nel caso delle opere trafugate durante le guerre). La maggiore trasparenza e il coinvolgimento del pubblico diventano pratiche di centrale importanza. 

Nel caso dell’iniziativa della Magnifica Comunità, la mostra e l’interazione con il pubblico hanno permesso di datare e identificare alcune foto, oltre che di acquisirne altre donate da privati. Si tratta di un’opera fondamentale di partecipazione e costruzione condivisa della storia e delle tradizioni. 


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