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LA MOSTRA “VERSO LA MODERNITA’”

A Firenze un percorso museale tra le opere della collezione della Banca d’Italia

Domenica 4 febbraio 2024
Visita gratuita – Durata: 45min/1h

Quando la mia collega e amica Costanza mi ha inviato la locandina della mostra “Verso la modernità”, organizzata dalla Banca d’Italia nella sua sede fiorentina, non potevo crederci: un’occasione eccezionale per ammirare alcuni capolavori della collezione in un palazzo di grande bellezza…

La visita è gratuita e possibile solo su prenotazione: è sufficiente inserire i propri dati online e scegliere giorno e orario. All’ingresso, poi, è richiesto il documento d’identità e occorre passare i controlli di sicurezza, ma è un’operazione piuttosto agevole, anche per il numero limitato dei gruppi (massimo 25 persone). In alcune fasce orarie, inoltre, i soci UniCoop possono godere di un tour guidato, che noi consigliamo vivamente: in questo modo è possibile apprezzare ancora meglio e con maggiore consapevolezza le opere esposte!

Molto utile, inoltre, è la cartellonista realizzata, che rende più chiara la scelta delle opere e l’ordine espositivo. Da non perdere la possibilità di inquadrare i qrcode e ascoltare il podcast che descrive ogni sala e i quadri esposti: in pochi minuti si viene guidati attraverso artisti ed epoche, stili e raffigurazioni…

Locandia della mostra "Verso la modernità".


Il giorno della nostra visita, io e Costanza ci siamo presentate un po’ in anticipo e, superati i controlli di sicurezza, siamo state accolte dalla nostra guida, che ci ha innanzitutto dato qualche indicazione generale sulla mostra e ha poi condotto il nostro gruppo attraverso le varie sale…

LA MOSTRA E LA BANCA D’ITALIA

La Banca d’Italia può vantare un patrimonio artistico di circa 3.000 opere; è un ente di diritto pubblico e la sua collezione è vincolata. Solitamente organizza visite guidate e mostre nella sede centrale, a Roma, ma nei mesi a cavallo tra il 2023 e il 2024 è stato deciso di allestire un’esposizione a Firenze: si tratta di una rara novità, un vero e proprio omaggio a questa sede.

Sono state scelte trenta opere appartenenti alla collezione della banca, organizzate secondo un percorso museale che conduce dalla metà dell’Ottocento agli anni Cinquanta del secolo successivo.

A partire dal 1865 Firenze divenne capitale del Regno d’Italia, ruolo che mantenne per pochi anni, fino al 1871, quando gli organi pubblici furono trasferiti a Roma. Mantenne, tuttavia, la caratteristica di città delle arti e degli intellettuali, come testimoniano i numerosi salotti e caffè letterari.

La Banca Nazionale fu istituita nel 1859, divenendo nel 1893 Banca d’Italia, e la sua sede fu posta in via dell’Oriuolo, dove ci troviamo adesso. Noi avevamo già visitato il palazzo, progetto di Antonio Cipolla, grazie ad una delle giornate di apertura del FAI: qui potete trovare la visita completa con maggiori dettagli sulle varie sale e la storia della banca.

Dipinti della mostra "Verso la modernità".
Dipinti della mostra "Verso la modernità".

La mostra Verso la Modernità. Presenze femminili nella collezione d’arte della Banca d’Italia chiarisce già dal titolo l’arco temporale in cui il percorso museale si muove e il tema conduttore: le figure femminili, a partire dalla Beatrice di Dante fino alla rappresentazione dei Macchiaioli, dalle ricerche dei formalisti durante le Avanguardie agli slanci espressivi del Novecento.

All’interno della mostra possiamo assistere a diversi ruoli assunti dalla donna: prima modella, in una dimensione domestica e familiare, poi sempre più emancipata e protagonista della società borghese e aristocratica.

Infine, sono esposte le opere di cinque artiste, testimonianza della nuova possibilità della donna di esprimersi e di divenire una professionista, che vive del proprio lavoro di pittrice o scultrice.

LA VISITA GUIDATA

Omaggio a Dante e a Beatrice

La mostra inizia nell’atrio di Donatello, dove sono esposti tre volumi della Commedia di Dante e un quadro raffigurante il Sommo Poeta. Si tratta dell’unica opera proveniente da un privato fiorentino mentre i libri sono conservati nella biblioteca storica Paolo Baffi della Banca d’Italia. Queste edizioni di pregio risalgono al Cinquecento (La Comedia di Dante Alighieri con la nuova esposizione di Alessandro Vellutello, 1544, e Comedia di Danthe Alighieri poeta divino, con l’espositione di Christophoro landino, 1529) e all’Ottocento (La Commedia di Dante Allighieri, illustrata da Ugo Foscolo, 1842-43).

Le due rare cinquecentine, commentata da due noti autori del Rinascimento, Cristoforo Landino e Alessandro Vellutello, sono esposte mostrando l’incipit della terza cantica, con l’ascesa al Paradiso di Dante e Beatrice, dipinta in tavole molto simili che ritraggono momenti diversi della salita. La terza versione della Commedia, commentata da Ugo Foscolo, invece, è aperta sul piatto superiore della brossura originale, stampata in nero.

La Comedia di Dante Alighieri con la nuova esposizione di Alessandro Vellutello, 1544.
Comedia di Danthe Alighieri poeta divino, con l'espositione di Christophoro landino, 1529.
La Commedia di Dante Allighieri, illustrata da Ugo Foscolo, 1842-43.

L’omaggio a Dante prosegue nel quadro, che ci introduce anche al tema del femminile, filo conduttore di tutta la mostra. Il dipinto, un olio su tela del fiorentino Raffaello Sorbi, raffigura l’incontro tra il poeta e donna amata (Dante incontra Beatrice, 1863): la donna, in abito bianco, è il perno dell’immagina, mentre l’uomo le passa accanto e rende omaggio.

Il carattere romantico, però, non è la sola e più importante chiave di lettura dell’opera: nell’Ottocento Dante era considerato un modello per le aspirazioni civili e politiche, in quanto fondatore della lingua italiana e di un’idea di Nazione. Non a caso, all’interno del dipinto, possiamo ritrovare i colori della bandiera italiana, rosso, bianco e verde.

La mostra inizia, quindi, rende omaggio al poeta e alla sua musa ispiratrice, in quanto donna gentile e pietosa, illuminata dalla saggezza.

L’Angelo nero

Alla base dello scalone monumentale, troviamo una scultura lignea, in ebano nero, L’Angelo nero (1921): una delle rare opere superstiti di un’artista quasi dimenticata, ma un tempo molto nota, Maryla Lednicka-Szczytt. La scultrice era famosa per le sue creazioni decorative delle navi da crociera… Purtroppo, gran parte della sua produzione è andata perduta proprio perché posta sulle imbarcazioni.

Raffaello Sorbi, Dante incontra Beatrice, 1863.
Maryla Lednicka-Szczytt, L'Angelo nero, 1921.

Ad oggi conosciamo solo pochissime opere, che si contano sulle dita di una mano, e una è conservata proprio nella collezione della Banca d’Italia, che l’aveva presa per un recupero crediti da un industriale, Riccardo Gualino, collezionista e mecenate, il quale si era opposto al regime fascista. Nel 1933 suoi beni furono distribuiti tra lo Stato e la Banca d’Italia, che ne vendette una parte e ne trattenne un’altra per ampliare la propria collezione.

In questo modo L’Angelo nero si trovò tra le opere del patrimonio, ma si perse la conoscenza di chi fosse l’autore, rimasto a lungo anonimo e poi individuato erroneamente in un’altra artista, Tamara de Lempicka, amica di Maryla. Grazie al restauro curato da Gioia Mori, è stato possibile procedere con la corretta attribuzione.

La figura è compatta e solida, ma al tempo stesso eterea. Probabilmente fu ispirata al balletto Les Sylphides, messo in scena a Parigi nel 1909; fu esposta per la prima volta a Parigi nel 1922 e venne presentata a Milano nel 1926 in una personale dell’artista, dove venne acquistata dall’imprenditore Riccardo Gualino. Già i contemporanei amarono molto quest’opera, che ci affascina con il suo incanto misterioso e poetico.

Macchiaoli e ambiente domestico

Saliamo al primo piano, dove entriamo nella stanza che ospita alcuni quadri accomunati dalla rappresentazione della donna nell’ambiente domestico, tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. I pittori hanno ritratto le figure femminili all’interno della quotidianità, immerse nelle relazioni affettive domestiche e familiari; non vi è alcun intento di celebrazione o retorica.

Giovanni Fattori, Profilo di donna, 1872 ca.
Silvestro Lega, Marternità, 1882-83 ca.

Da un lato ammiriamo due opere dei Macchiaoli: Giovanni Fattori (Profilo di donna, 1872 ca.) dipinge l’accenno di un sorriso, mentre il volto guarda di lato, privo di grande contesto, ma in un ambito quotidiano: probabilmente si tratta di una donna della sua cerchia. Accanto, Silvestro Lega raffigura una Maternità molto bella (1882-83 ca.), con una composizione tradizionale della madre con il bambino, una sorta di Madonna laica; si tratta della cognata e del nipote del pittore. Le due figure si stagliano su uno stondo bruno e sono essenziali, colte in un dialogo affettuoso attraverso gesti e sguardi delicati.

Dall’altro lato Antonio Mancini imprime sulla tela Felicità (1900-10 ca.), con una pittura nervosa che pare un non-finito e che si focalizza sul volto gioioso, che trasmette brio e felicità all’osservatore. Il ritratto di bambina realizzato da Francesco Paolo Minchetti, quando era appena ventenne, si caratterizza invece per la grande luce ed è stato restaurato di recente (Bimba al sole, 1873 ca.).

Antonio Mancini, Felicità, 1900-10 ca.
Francesco Paolo Minchetti, Bimba al sole, 1873 ca.

En plein air e alta società

La sala successiva raggruppa due nuclei tematici. Da un lato possiamo ammirare quattro scene en plein air; i quadri, di dimensioni più piccole, sono abbastanza vari: il primo, opera di Ettore Tito (Giochi in riva al lago, 1910) è fresco, giocoso e luminoso, raffigurando un momento in riva a un lago, mentre il secondo, di Pompeo Mariani (Figura femminile seduta – Luisa Bianchi, 1894) è un ritratto più tradizionale, sebbene risenta della pittura impressionista e attesti la presenza delle donne, in questo caso la cugina del pittore, fuori dall’ambiente della casa, qui in un angolo della Villa Reale di Monza.

Allo stesso modo, il quadro successivo, di Giacomo Grosso (Sulla terrazza, 1891), raffigura due donne sedute accanto e sopra ad un muretto, con un tavolino. Chiude la sequenza un acquerello di Giuseppe De Nittis (Il mazzo di giunchiglie, 1880 ca.), con un taglio fotografico in cui la donna è colta di spalle, in una posa informale, e i fiori sono messi in risalto, secondo un gusto giapponese di giustapposizione di campi di colore.

Pompeo Mariani, Figura femminile seduta - Luisa Bianchi, 1894.
Ettore Tito, Giochi in riva al lago, 1910.
Giuseppe De Nittis, Il mazzo di giunchiglie, 1880 ca.
Giacomo Grosso, Sulla terrazza, 1891.
Vincenzo Irolli, Ritratto della Baronessa Chiarandà 1890.
Anonimo, Ritratto di giovane naturalista, 1906 ca.

L’altro nucleo tematico propone tre figure dell’alta società, donne appagate ed eleganti, sicure di sé. Del primo dipinto non conosciamo l’artista: Ritratto di giovane naturalista (1906 ca.) raffigura una donna intenta ad osservare un teschio o una conchiglia o un altro oggetto; forse indossa un camice e la presenza di un’ampolla con un liquido di laboratorio ci porta a pensare che il pittore abbia ritratto un momento in cui le donne si avvicinano alla scienza, incentivate dall’esempio di Marie Curie, vincitrice del Premio Nobel per la fisica nel 1903.

Vincenzo Irolli è l’autore del Ritratto della Baronessa Chiarandà (1890), moglie del pittore e collezionista Carlo Chiaradà: è sorridente e sicura, vestita alla moda.

Il piccolo bronzo patinato è una giovane modella, forse la moglie dell’artista Paolo Troubetzkoy (Amazzone, 1905 ca.), che cavalca “all’amazzone”: fino a quel momento l’equitazione era appannaggio dei soli uomini… L’arte qui trasmette i cambiamenti nel mondo, una società e una cultura in cui le donne conquistano nuovi spazi.

Prima di passare al secondo piano, ci fermiamo un momento per guardare il filmato che viene proiettato in questa sala: si tratta di un video girato nel 2022 e per il quale si è attinto da materiale di archivio. In particolare, ci si concentra sulla lettera anonima di un madre, inviata al Governatore Guido Carli nel 1965; essa fornisce lo spunto per raccontare il ruolo della donna nella Banca d’Italia dal secolo scorso ad oggi.

Paolo Troubetzkoy, Amazzone, 1905 ca.
Luciano Ricchetti, Le due mammine, 1940.

Anni Venti e Trenta del Novecento

Saliamo al secondo piano del palazzo, dove ci attendono le ultime tre sale del percorso espositivo. La prima è molto grande e raccoglie alcune opere con dimensioni considerevoli, tutte degli anni Venti e Trenta del Novecento. Dopo la Prima guerra mondiale, gli artisti iniziarono a cercare i valori che il conflitto aveva disgregato: recuperarono così la solidità e la plasticità della forma o attinsero all’antico; questo movimento viene comunemente chiamato “ritorno all’ordine”.

Proprio davanti alla porta d’ingresso il quadro di Ardengo Soffici, L’acquaiola (o ragazza recante una mezzina d’acqua) del 1925, si propone come un’opera monumentale: la donna raffigurata compie un gesto umile, anche se con la solennità di una regina. Possiamo notare la raffinatezza cromatica e la resa delle pieghe del vestito, che rendono il dipinto costruito in modo sapiente.

Accanto troviamo La ragazza con il mandolino (o Il mandolino) del 1922, di un artista ora poco conosciuto, Carlo Socrate, che raffigura la donna moderna e disinvolta, da sola, con una perfezione della forma di sapore quasi caravaggesco.

Ardengo Soffici, L’acquaiola (o ragazza recante una mezzina d’acqua, 1925.
Carlo Socrate, La ragazza con il mandolino (o Il mandolino), 1922.
Orfeo Tamburri, La Cecchina, 1943.
Mario Mafai, Ritratto di Lina, 1930.
Carlo Levi, Ritratto di una donna con gli occhi chiusi, 1937.

L’ultimo quadro enorme della sala è di un artista oggi dimenticato, Luciano Ricchetti: Le due mammine (1940) traspongono in pittura l’ideologia del regime fascista, in cui la donna è concepita in primo luogo come madre. Nel dipinto, infatti, troviamo la mamma e la primogenita, che assume lo stesso ruolo materno nei confronti della bambola. Questa opera fu acquistata dalla Banca d’Italia in occasione della Biennale.

Alla nostra sinistra ammiriamo una sequenza di dipinti diversi: Carlo Levi raffigura una donna con gli occhi chiusi (Ritratto di una donna con gli occhi chiusi, 1937), con toni morbidi e una pittura a onde; in modo simile, Mario Mafai crea il Ritratto di Lina (1930), in cui la donna amata è quasi sfumata, in una ricerca di espressioni e di resa dell’intima relazione con il soggetto; l’ultimo ritratto, La Cecchina di Orfeo Tamburri (1943), assume toni angosciosi, con forti segni neri, alludendo al momento drammatico della Seconda guerra mondiale. Questi tre dipinti rappresentano un altro filone artistico, quello di un impressionismo psicologico, introspettivo e anti-novecentista.

Leonetta Cecchi Pieraccini e Pasquarosa Marcelli

La piccola stanza in cui entriamo è dedicata a due donne pittrici: Leonetta Cecchi Pieraccini e Pasquarosa Marcelli. Quest’ultima viveva a Roma e fu prima modella e poi moglie di un pittore, senza rinunciare al desiderio di divenire pittrice anche lei, scopo che raggiunse acquisendo un notevole successo e riconoscimento anche economico per un’attività fino a pochi anni prima considerata solo dilettantesca per le donne. Una parabola simile caratterizzò la fina di Leonetta Cecchi Pieraccini, che riuscì a conciliare con la produzione pittorica gli importanti impegni familiari, in quanto moglie di Emilio Cecchi e sorella di Gaetano Pieraccini, primo sindaco di Firenze dopo la Liberazione.

Pasquarosa Marcelli, Vaso di fiori, 1927.
Leonetta Cecchi Pieraccini, Ragazza che cuce (Rita Cecchi), 1927.
Leonetta Cecchi Pieraccini, Fiori, 1920-24.

I tre quadri, caratterizzati da una pittura fresca e intensa di colore, raffigurano due elementi naturali (Vaso di fiori di Pasquarosa Marcelli, 1927, e Fiori di Leonetta Cecchi Pieraccini, 1920-24) e una Ragazza che cuce (Rita Cecchi) di Leonetta Cecchi Pieraccini (1927), che raffigura la cognata intenta in un’attività tradizionale, ma portata avanti con grande libertà.

Questa pittura si focalizza nuovamente sulla resa delle dimensioni interiori e private, con una modalità espressiva, vibrante e colorata. La produzione artistica era accompagnata spesso dalla stesura di diari e agende, che restituiscono una sensibilità attenta e raffinata in quello che viene chiamato una sorta di “teatro della memoria”.

Da Casorati alle sue allieve

L’ultima sala è divisa in due sezioni: nella prima incontriamo una serie di artisti, tra cui spicca Felice Casorati, con il suo approccio quasi metafisico e l’assenza di elementi spazio-temporali. Nel quadro Clelia (1937) vi è un accenno simbolico, rintracciabile, ad esempio, nella presenza del braccialetto rosso.

Accanto troviamo il quadro di un’allieva della Scuola Libera di Pittura inaugurata da Casorati a Torino nel 1927, Marisa Mori, che si esercita qui sul tema del nudo (Studio di un nudo, 1928). La rappresentazione del nudo era sia una pratica di bottega ereditata dal passato sia un esercizio necessario alla comprensione e alla restituzione del vero.

Felice Casorati, Clelia, 1937.
Marisa Mori, Studio di un nudo, 1928.
Felice Casorati, Studio per “Daphne a Pavarolo”, 1933-1934.
Virgilio Guidi, Donna seduta, 1937.

Rarefazione della realtà e geometria degli spazi sono due delle caratteristiche principali di un’altra opera di Casorati, Studio per “Daphne a Pavarolo” (1933-1934); simile da un punto di vista iconografico è il quadro di Virgilio Guidi (Donna seduta, 1937), il quale raggiunge la massima astrazione, cancellando i lineamenti del volto.

Sul tavolo, a dividere le due sezioni, possiamo ammirare un dipinto dell’allieva prediletta di Casorati, Nella Marchesini, che fornisce un’ulteriore testimonianza degli esercizi sul nudo. Su un lato è raffigurata una Donna che dorme (o Scorcio di donna), che allude al celebre Cristo di Mantegna conservato a Brera, e sul retro uno Studio di nudo seduto a terra (1928), in cui la donna è immersa in una silenziosa solitudine.

Nella Marchesini, Donna che dorme (o Scorcio di donna), 1928.
Nella Marchesini, Studio di nudo seduto a terra, 1928.

Stile figurativo

Le ultime opere appartengono allo stile figurativo. Nel primo quadro (Alberto Magnelli, Etude femme accoudeé, 1924-28) l’atmosfera è metafisica, quasi irreale, mentre a fianco una tempera su carta è l’immagine di una pubblicità (Marcello Dudovich, Signora con levriero sulla spiaggia, 1922). La donna qui è libera e indipendente, ha abiti moderni, è affascinante e disinvolta…

Su un altro pannello sono messi a confronti i volti di donna (Due donne, 1929) dipinti da Massimo Campigli (pseudonimo di Max Ihlenfeld), che ha riscoperte le radici del classico, in particolare l’arte etrusca, e che le traspone nel modo di rappresentare il viso femminile, algido e immobile, e una ceramica realizzata da Lucio Fontana, che iniziò la propria carriera artistica come ceramista e scultore. Il volto (Ritratto femminile, 1956) è caratterizzato da un’eccezionale lucentezza e dal grande movimento, quasi barocco, della chioma, mentre i lineamenti sono in parti ispirati al classico e in parte moderni.

Alberto Magnelli, Etude femme accoudeé, 1924-28.
Marcello Dudovich, Signora con levriero sulla spiaggia, 1922.
Massimo Campigli, Due donne, 1929.
Lucio Fontana, Ritratto femminile, 1956.

Si conclude così questo incredibile percorso che ci ha permesso di ammirare alcune delle opere della collezione della Banca d’Italia e poterle apprezzare all’interno di un percorso ben concepito e strutturato…

Se siete interessati a scoprire qualcosa di più sul palazzo monumentale, qui potete leggere l’articolo che gli abbiamo dedicato, e se vi appassionano le collezioni di banche e fondazioni non potete perdervi le visite guidate della Fondazione CR Firenze!

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