Due brevi saggi che fanno riflettere
Ho acquistato questa piccola e graziosa edizione Garzanti qualche anno fa, probabilmente presso la mia libreria di fiducia qui a Firenze e con altrettanta probabilità in un impeto finale, quando mi trovavo alla cassa e stavo comprando qualche altro libro. Cado sempre nella tentazione delle miniature poste strategicamente sul bancone, su cui l’occhio si posa in modo inevitabile… Non so nemmeno perché mi sia parso un acquisto sensato: non ho una passione per il genere del saggio ottocentesco, non credo di aver mai letto nulla di Thoreau tranne, forse, degli estratti a scuola o all’università e solitamente sono incline più a dibattiti e polemiche sulla psicologia o sull’ambiente. Credo sia stato il titolo, che unisce due aspetti contraddittori del mio stesso carattere: da una parte la disobbedienza, che da sempre mi anima contro gli ordini prestabiliti e ciò che ritengo ingiusto eppure fossilizzato, dall’altra l’aggettivo civile, nel quale rintraccio tutto il mio spirito di responsabilità e la mia innata propensione al rispetto delle regole.
p. 74
“Parliamo di un governo rappresentativo; ma che mostro di governo è quello in cui non sono rappresentate le più nobili facoltà della mente, e il cuore intero?”
Questo libro è stato oggetto di una rapida lettura all’inizio di agosto, mentre mi trovavo in montagna ma il telegiornale non mi dava pace con la polemica sul Green Pass e l’infinito dilemma se privilegiare il diritto alla salute o alla libertà (e a tanti altri). Non ho intenzione di prendere posizione in merito; registro solamente che ho scelto un momento particolare per questa lettura, che sicuramente fornisce importanti spunti di riflessione.
“Le leggi ingiuste esistono: dobbiamo accontentarci di obbedire o dobbiamo sforzarci di correggerle, e dobbiamo obbedire finché non ci siamo riusciti, oppure trasgredirle subito?
(…) è colpa del governo stesso se il rimedio è peggiore del male. È lui a renderlo peggiore.
Perché non ha maggiore prontezza nell’anticipare e attuare le riforme?
(…) Perché non incoraggia i cittadini a estinguere i suoi difetti e a fare meglio di quanto esso li spingerebbe a fare?”
pp. 20 – 21
“Ogni giorno manteniamo la cosiddetta pace della nostra comunità tramite azioni di meschina violenza. Guardate il manganello e le manette del poliziotto! Guardate le carceri! (…) La nostra sola speranza è di vivere al sicuro ai margini di questo esercito provvisorio. Così difendiamo noi stessi e i nostri pollai, e manteniamo la schiavitù.”
p. 79 – 80
L’edizione Garzanti “i piccoli e grandi libri” (che tenerezza il titolo di questa collana!) racchiude due testi di Thoreau, entrambi di stampo saggistico: La disobbedienza civile, che ha un carattere maggiormente teorico, e In difesa del Capitano John Brown, più calato nella contingenza del momento. Il primo, infatti, è una sorta di articolo o pamphlet argomentativo, mentre il secondo ha i tratti di una lettera retorica, con tratti di arringa e con un modo diretto di rivolgersi ai destinatari.
Il medesimo tema unisce questi due testi: l’abolizione della schiavitù. Per il raggiungimento di tale scopo è non solo giustificato, ma addirittura necessario disobbedire alle leggi, che incarnano un’ingiustizia a cui è umanamente impossibile non opporsi. Il primo saggio propone una disobbedienza più pacifica: non pagare le tasse, che finanziano un governo sostenitore di una pratica aberrante; lo stesso Thoreau è stato incarcerato perché inadempiente, debitore allo Stato di una cifra piuttosto ridicola, e lo racconta con orgoglio. Nel secondo testo, invece, Thoreau arriva a giustificare anche l’uso della forza, difendendo le azioni compiute dal Capitano John Brown, attivista e fautore dell’abolizionismo americano, sostenitore dell’insurrezione armata come unico modo per eliminare la schiavitù. In seguito al fallimento di un’incursione all’arsenale di Harpers Ferry in Virginia, con il tentativo di armare gli schiavi, egli fu accusato di tradimento per l’omicidio di cinque persone e per incitazione alla rivolta degli schiavi locali. Thoreau difende le azioni di John Brown e lui stesso come persona: “Questi sono stati i suoi studi umanistici, non certo la grammatica. Avrebbe lasciato un accento sbagliato su una parola greca, ma avrebbe rimesso in piedi un uomo che cade.” (p. 52)
È chiaro quanto l’argomento dell’abolizione della schiavitù sia calato nella realtà del tempo e nello specifico contesto degli Stati Uniti della metà dell’Ottocento. A partire dalla seconda metà del secolo precedente, infatti, un numero sempre maggiore di Stati aveva abolito la schiavitù mentre essa persisteva in quelli del sud.
Thoreau non vide mai la completa abolizione della schiavitù perché essa avvenne 3 anni dopo la sua morte (nel 1862), il 18 dicembre del 1865, con l’entrata in vigore del tredicesimo emendamento della Costituzione americana. Si nota, comunque, come le osservazioni dello scrittore fossero attuali e rispondessero ad un sentimento e ad un pensiero condiviso: il primo dei due testi uscì nel 1849 con il titolo Resistenza al governo civile (Disobbedienza civile è il nome che assunse, insieme con alcune modifiche, nella raccolta postuma delle sue opere del 1866); il secondo, invece, è il discorso scritto da Thoreau tre giorni prima della condanna a morte del Capitano John Brown, il 2 novembre 1859.
Tuttavia, pur non essendo un tema attuale, le argomentazioni rimangono spesso molto valide (forse le più datate sono quelle che fanno riferimento ai precetti religiosi) e comunque interessanti; esse smuovono questioni profonde e ancora dibattute: la giustizia, l’ipocrisia, la pigrizia, la fede, l’adesione ad un’ideale e la coerenza verso la propria coscienza.
“(…) il popolo deve avere un qualche tipo di macchinario complicato di cui udire il frastuono, per soddisfare l’idea di governo che si è fatta. Così i governi dimostrano con quale facilità gli uomini accettino imposizioni, o addirittura se ne infliggano, per il proprio interesse.”
p. 8
“Secondo me dobbiamo essere prima uomini, e poi cittadini. Non è tanto desiderabile coltivare il rispetto della legge quanto quello per la giustizia. L’unico obbligo che ho diritto di assumere è quello di fare in ogni momento ciò che ritengo giusto. Non è sbagliato dire che una comunità costituita non ha coscienza; ma una comunità di uomini coscienziosi è una comunità dotata di coscienza. La legge non ha mai reso gli uomini più giusti; e, a causa del loro rispetto per essa, anche quelli ben disposti diventano quotidianamente agenti di ingiustizia.”
pp. 9 – 10
La possibilità e la volontà di agire per ciò che si ritiene giusto non dipendono dai mezzi, dalla ricchezza: anzi! Come riflette, giustamente, Thoreau chi ha più denaro e possedimenti ha anche più da perdere, sarà più propenso a preservare lo status quo. Ma è davvero vivere?
“(…) il ricco (…) è sempre venduto all’istituzione che lo rende ricco. Parlando in senso assoluto, più è il denaro, minore è la virtù, perché il denaro s’interpone fra un uomo e i suoi scopi (…) Le occasioni di vivere diminuiscono in proporzione all’aumentare dei cosiddetti “mezzi””
pp. 26 – 27
Lo scrittore, pur essendo credente e praticante, non tralascia una polemica neppure nei confronti degli altri fedeli contemporanei: in modo crudo e mordace dipinge una realtà molto simile anche alla nostra…
“Il cristiano moderno è un uomo che ha acconsentito a dire tutte le preghiere della liturgia, purché dopo lo lasciate andare dritto a letto a dormire tranquillo. (…) Ha acconsentito anche a mettere in pratica certi atti di carità di antica tradizione, in qualche misura, ma di nuovi e moderni non ne vuol sapere; non desidera che vengano aggiunti articoli supplementari al contratto per aggiornarlo al tempo presente. (…) Molti, senza dubbio, sono ben disposti, ma pigri per costituzione e per abitudine, e non riescono a concepire un uomo spinto da motivazioni più alte delle loro. Di conseguenza definiscono quell’uomo insano di mente, poiché sanno che non potrebbero mai agire come lui, finché restano sé stessi.”
pp. 62 – 63
Thoreau, che ha così poca fiducia nei governi, sembra dimostrarne molta di più negli uomini, quando si scuotono dal torpore, riconoscono ciò che è giusto e agiscono per esso. Questi non sono la maggioranza, si badi bene, ma pochi, i quali possono però fornire un esempio, sacrificando persino la propria vita (“Parlano come se la morte di un uomo fosse un fallimento e la continuazione della sua vita, di qualunque tipo, fosse un successo”, p. 83). Loro è la responsabilità maggiore, loro e di ciascuno di noi.
HENRY DAVID THOREAU
Henry David Thoreau, nato David Henry Thoreau (1817 – 1862), è stato un filosofo, scrittore e poeta statunitense. Stretto amico di alcuni fra i membri principali della corrente del trascendentalismo, non ne entrò però mai a far parte; anzi, se ne allontanò per elaborare un suo proprio pensiero che nega ogni idealità al di fuori dell’immanenza. La natura è per Thoreau non un semplice strumento per il raggiungimento di conoscenze ideali di ordine superiore, bensì oggetto ultimo della pratica filosofica, fonte di benessere e soluzione esistenziale. I suoi due testi più famosi sono lo scritto autobiografico Walden ovvero Vita nei boschi, una riflessione sul rapporto dell’uomo con la natura, e il celebre saggio Disobbedienza civile. Strenuo oppositore dello schiavismo, si impegnò anche in prima persona ad aiutare gli schiavi fuggiaschi a raggiungere il Canada.
IL LIBRO
Henry David Thoreau, La disobbedienza civile, Garzanti, Milano, 2018 (I edizione)
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