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IO (NON) HO PAURA

Giordano e Baricco:
prospettive sull’emergenza e riflessioni trasversali

Siamo alla Fase 2 dell’emergenza Covid-19. Tanto anelata, temuta, richiesta, rimandata, con incertezze, sbagli, tentativi riusciti o quasi, sbotti di libertà e subbuglio, rifugi tra le mura domestiche. Di tutto quello che ho letto sulla pandemia (escludendo articoli scientifici), due scritti mi sono rimasti impressi: Nel contagio di Paolo Giordano (Einaudi, Torino, maggio 2020) e l’articolo Virus. È arrivato il momento dell’audacia di Alessandro Baricco (Repubblica, 26 marzo 2020). Si tratta di due prospettive diverse per tempo (il saggio è stato scritto nei primi giorni della diffusione del virus, prima del lockdown dell’intero Paese, mentre l’articolo in pieno isolamento) e per formazione (Giordano è un fisico e ragiona anche come un matematico, Baricco è un letterato, un umanista, a volte un visionario), due punti di vista che non si escludono a vicenda.

Paolo Giordano, p.18

Vogliamo sempre conoscere le date d’inizio e di scadenza delle cose. Siamo abituati a imporre il nostro tempo alla natura, non viceversa. Quindi esigo che il contagio finisca fra una settimana, che si torni alla normalità. Lo esigo sperandolo.
Foglio di giornale La Repubblica con sopra libro di Paolo Giordano, su fondo verde.

Nel contagio è un breve saggio, quasi un diario di riflessioni tra la fine di febbraio e l’inizio di marzo 2020; si legge velocemente, esprime concetti complessi in modo comprensibile. Mi ha colpita la spiegazione del diffondersi della malattia: una propagazione che non è cresciuta in modo lineare, come invece noi uomini saremmo inclini ad aspettarci, esponendoci a numeri enormi in troppo poco tempo. Siamo portati a pensare che l’incremento di ogni cosa sia uguale giorno per giorno, in maniera lineare, ma, spiega Giordano, “è la natura stessa a non essere strutturata in modo lineare. La natura preferisce le crescite vertiginose o decisamente più morbide, gli esponenti e i logaritmi. La natura è per sua natura non-lineare”. Ciò si lega ad un’idea importante: sottovalutiamo il mondo in cui viviamo: ciò che è accaduto non era inimmaginabile… Giordano cita altri casi in cui l’intervento dell’uomo sta modificando i rapporti con la natura e con gli animali: “quanto sta accadendo con la Covid-19 accadrà sempre più spesso. Perché il contagio è un sintomo. L’infezione è nell’ecologia” (p. 45).

Ciò comporta anche una chiamata alla responsabilità individuale: adesso, per contenere il virus e impedirne la diffusione, ma anche nel futuro per un impegno verso una maggiore sostenibilità. In un articolo del 1972 Philip Warren Anderson ha sostenuto che “l’effetto cumulativo delle nostre azioni singole sulla collettività è diverso dalla somma dei singoli effetti. Se siamo in molti, ogni nostro comportamento ha conseguenze globali astratte e difficili da concepire. Nel contagio la mancanza di solidarietà è prima di tutto un difetto d’immaginazione” (p. 29).

Due citazioni dall'articolo di Baricco.

È concorde su questo anche Baricco, il cui articolo frizzante è anche un inno ad un nuovo umanesimo, un mondo con minori disuguaglianze e un patto tra gente ed élites, in cui “ogni individuo si sente responsabilizzato, si forma una solidarietà diffusa, cala il livello di litigiosità” (p. 35). Secondo l’idea dell’intellettuale, infatti, “il caso Covid 19 ha tutta l’aria di essere la grande prova generale per il prossimo livello del gioco: la missione finale: salvare il pianeta. L’emergenza totale, cronica, lunghissima, in cui tutto tornerà a funzionare”. Ho dei seri dubbi in merito… E a due mesi di distanza dalle parole di Baricco, non mi sembra che il futuro gli stia dando ragione, ma sarà dei posteri l’ardua sentenza.

Bisogna inoltre considerare una certa problematicità nella relazione tra personale e globale, che non sfugge a Giordano: “mentre la realtà diventa sempre più complessa, noi diventiamo sempre più refrattari alla complessità. (…) Personale e globale s’intrecciano in modi così enigmatici da lasciarci sfiniti prima ancora di tentare un ragionamento” (pp. 46-47). In fondo, si potrebbe dire che continua ad avere ragione Baumann nel sostenere che si richiede una responsabilità individuale per un problema universale, sociale, mondiale, insomma troppo grande per il singolo.

Sono invece d’accordo sull’importanza dei rapporti umani non digitali, magicamente riscoperti durante la pandemia, proprio perché ne siamo stati privati. E, in fondo, come giustamente fa notare Baricco: ciò “vuol dire che ne avevamo un sacco, di rapporti umani” (p. 34), sebbene sembrasse che la nostra vita potesse trasferirsi completamente nel mondo digitale.

Immagine tratta dal giornale: uomini in un deserto, con vignette di parole o vuote.

Su un altro punto convergono le prospettive di Giordano e Baricco, sebbene rimangano molto differenti. “Nel contagio la scienza ci ha deluso”, scrive in modo lapidario Giordano: “volevamo certezze e abbiamo trovato delle opinioni. Ci siamo dimenticati che funziona sempre così, anzi funziona solo così, che il dubbio per la scienza è più sacro della verità” (p.52). Tuttavia, questo ha influenzato non poco tutti noi: il triangolo che si viene a creare avviene tra istituzioni, cittadini ed esperti. Nessuno si fida di noi cittadini, che siamo sospettosi verso le istituzioni e vorremmo tornare dagli esperti, ma proprio in questo momento li vediamo vacillare: “alla fine, nell’incertezza, ci comportiamo peggio di come faremmo, attirando altra sfiducia su di noi” (p. 58). È importante ricordare che Giordano scrive all’inizio della diffusione del virus in Italia, prima del lockdown nazionale, in cui tutti (o quasi) si sono prestati a seguire le indicazioni del governo. Ma la vena sottile di diffidenza, a mio parere, ha continuato a serpeggiare. Perché? Secondo me, in parte anche per il motivo che spiega Baricco: si tratta di un’emergenza che è gestita da un’élite e da un’intelligenza di tipo novecentesco. 

Alessandro Baricco, p. 34

Il Novecento aveva il culto dello specialista. Un uomo che, dopo una vita di studi, sa moltissimo di una cosa. L’intelligenza del Game (e qui il riferimento è autoreferenziale al saggio The Game) è diversa: dato che sa di avere a che fare con una realtà molto fluida e complessa, privilegia un altro tipo di sapiente: quello che sa abbastanza di tutto. Oppure fa lavorare insieme competenze diverse. Non lascerebbe mai dei medici, da soli, a dettare la linea di una risposta a un’emergenza medica: gli metterebbe di fianco, subito, un matematico, un ingegnere, un mercante, uno psicologo e tutto quello che sembrerà opportuno.

La maggioranza di noi sta cominciando a ragionare in modo non novecentesco… Specialmente per i giovani la gestione della pandemia in questo modo non coincide con il tipo di reattività che siamo abituati ad avere. E, in fondo, e nel modo meno polemico possibile, lo stesso Baricco mostra una crepa nel bel patto che secondo lui si è saldato tra gente ed élite: “il dubbio di una certa sproporzione tra il rischio reale e le misure per affrontarlo. (…) resta, ineliminabile, il dubbio che da qualche parte stiamo scontando una certa incapacità a trovare una proporzione aurea tra l’entità del rischio e l’entità delle contromisure” (p.35). Lo stesso inno a passare all’audacia, dopo aver applicato solo la prudenza, si può leggere in questo modo: lo scriveva il 26 marzo, la fase 2 è iniziata il 4 maggio. Direi che non abbiamo proprio colto questo invito…

Fogli di giornale, con in primo piano l'articolo di Baricco e sopra il libro di Paolo Giordano.

Giordano ha un approccio sicuramente più pessimistico di Baricco, ma possiamo dire che le conclusioni sono le stesse: impegno, speranza, saggezza, un cuore aperto. E’ la paura a muoverci, sostiene Baricco, quando invece dovrebbe essere la voglia: “Abbiamo bisogno di una quota giornaliera di paura per entrare in azione (…) noi siamo vivi per realizzare delle idee, costruire qualche paradiso, migliorare i nostri gesti, capire una cosa di più al giorno (…) La nostra agenda dovrebbe essere dettata dalla voglia, non dalla paura. Dai desideri. Dalle visioni, santo cielo, non dagli incubi” (p. 35).

Più concreta, ma non meno incisiva è la conclusione del saggio di Giordano: “possiamo sforzarci di attribuire un senso al contagio. Fare un uso migliore di questo tempo, impiegarlo per pensare ciò che la normalità c’impedisce di pensare: come siamo arrivati qui, come vorremo riprendere. Contare i giorni. Acquistare un cuore saggio. Non permettere che tutta questa sofferenza trascorra invano” (p. 63).


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