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“IL SEGNO DELLE COSE” DI ELISABETTA MOTTINO

5 generazioni di donne per rompere la catena del dolore e della colpa

LUGLIO 2023

Una copia del romanzo “Il segno delle cose” è stata inviata dall’autrice stessa, Elisabetta Mottino, alla sede di Firenze di AIAU ODV, in previsione della presentazione del libro prevista per venerdì 8 settembre 2023. Elisabetta, infatti, in qualità di psicologa psicoterapeuta, è la referente di Udine dell’Ente per il quale lavoro: ho avuto, quindi, il piacere di conoscerla molto prima di scoprire che avesse pubblicato un romanzo ed è stato naturale da parte della nostra Associazione organizzare una presentazione e invitare Elisabetta a Firenze. Proprio in vista dell’incontro, dato che mi è stato assegnato il compito di dialogare con l’autrice, ho deciso di leggere il prima possibile il libro, che mi ha incuriosita fin da subito…

  1. Sinossi:
  2. L’autrice;
  3. Cosa ne penso?

Conoscendo Elisabetta e sapendo in anticipo quali teorie psicologiche reggono sotterraneamente il romanzo, mi ero creata un’idea piuttosto definita di ciò che sarebbe stato il romanzo e… la mia aspettativa è stata piacevolmente disattesa!

La storia si struttura in modo avvincente e scorrevole a partire da un flashback, che ripercorre la genealogia di una famiglia dal 1870 fino ai giorni nostri. Tutto comincia con un lutto traumatico, quello vissuto dall’istitutrice Chloé, che perde il marito e che è costretta a far partire per l’America i due figli maschi, mentre con lei rimane la femmina, Margot. L’inizio scaturisce non solo dall’evento di per sé ma anche da ciò che esso scatena e che è uno dei temi portanti del romanzo: il senso di colpa, intrecciato terribilmente con quello del dovere.

Elisabetta Mottino, "Il segno delle cose" - copertina.



“Con lui moriva anche la loro vita, il loro amore, con lui moriva anche una parte di lei, quella felice.
La parte infelice avrebbe continuato a trascinarsi per chissà quanti anni su questa maledetta terra (…) Si sarebbe asciugata le lacrime, avrebbe lavato il viso, infilato i vestiti sempre più larghi, avrebbe preparato la colazione per i suoi figli, i piccoli orfani di papà, il motivo per cui ogni mattina aveva il dovere di alzarsi.
Morire è da egoisti.
Vivere è dovere di madre.”
p. 26-27


“(…) per Bella la morale era più importante dell’amore, la colpa più grande della gioia.”

p. 154

La colpa e il dovere assumono diverse forme, a seconda dei vari personaggi: verso i genitori, i figli, la società, gli altri soldati caduti, l’essere sopravvissuti, essere felici… Il lettore assiste al passaggio del senso di colpa dai genitori ai figli, che reagiscono in modi differenti: qualcuno è aggressivo, sviluppa dipendenze, scompare, è eccentrico ed egoista, egocentrico e irrequieto, mentre le donne di cui seguiamo la storia cercano di diventare autonome e perfette nel disperato tentativo di meritare l’amore, in primo luogo da parte dei genitori.

Presentazione del romanzo a Firenze, organizzata da AIAU ODV presso il Caffè Letterario Le Murate.

“Mamma fa quel che può, e noi possiamo aiutarla solo non dandole problemi, cercando di non litigare, di andare bene a scuola, di ubbidire nella speranza che la malattia dell’anima passi in fretta e lei possa tornare la mamma allegra e calorosa di un tempo.”
p. 32

“(…) sono sempre stata una adulta in miniatura, operosa e giudiziosa, unico ruolo disponibile tra quelli interpretati dalla mia famiglia. (…) non mi restò che essere autonoma, giudiziosa, performante; forse se non avessi dato alcun pensiero e preoccupazione ai miei genitori loro mi avrebbero voluto bene. Forse.”
p. 182

La spirale di dolore e infelicità prosegue secolo dopo secolo: in primo luogo è una terribile conseguenza dell’aver avuto dei genitori “non reperibili” per diversi motivi, dall’essere deceduti all’essere schiacciati dal dolore, dalle dipendenze o dal senso di colpa. Le prime tre generazioni di donne passano in modo piuttosto lineare il bagaglio di sofferenza: Chloé è devastata dal lutto e si sente in colpa per aver abbandonato i figli; Margot prova inadeguatezza e senso di colpa, oltre al medesimo senso del dovere della madre; avrebbe l’opportunità di emanciparsi e vivere felice, ma trasmette il medesimo schiacciante bagaglio e l’onerosa responsabilità alla figlia Isabella, nella quale si rivede e che per questo le suscita rabbia… Paradossale, dato che è lei per prima a fomentare queste caratteristiche (ad esempio, quando il fratello Giorgio si perde ed Isabella viene incolpata di non aver provveduto a lui). Margot percepisce di aver usurpato un posto non suo e teme il giudizio degli altri; sua figlia Bella è distrutta dall’inadeguatezza e dalla colpa verso i genitori e la sorella. Sarà lei a divenire crocerossina durante la Seconda guerra mondiale: così il conflitto entra all’interno del romanzo.

Il tema della guerra è un altro degli argomenti portanti del libro: troviamo le figure di crocerossine, uno “scemo di guerra”, vittime dell’occupazione e della violenza tedesca, soldati sopravvissuti al conflitto ma che soffrono di un disturbo post-traumatico e sono devastati dalla colpa di essere sopravvissuti.

Presentazione del romanzo a Firenze, organizzata da AIAU ODV presso il Caffè Letterario Le Murate.

Il ramo della famiglia che va da Chloé a Isabella va ad intrecciarsi con quello di Noemi ed Enea, ex soldato: la figlia della prima, Eleonora, sposa Umberto, nato dai secondi e con un profondo vissuto di rabbia e solitudine. Dal loro matrimonio nasce la narratrice del romanzo, Adele, colei che riuscirà a spezzare la catena della sofferenza.

La guerra, quindi, è presente soprattutto nella parte centrale del romanzo, mentre tutta la prima è ambientata nell’Ottocento. La comparsa del conflitto può essere interpretata come spartiacque narrativo: fa divenire Isabella una crocerossina e le permette di incontrare il soldato Davide, suo futuro compagno, mentre è il cupo sfondo della storia di Noemi ed Enea Falconieri. In realtà, la guerra ricompare anche alla fine del romanzo, ma stavolta in un modo diverso, come opportunità di fare qualcosa, prendere una strada diversa, dare un valore…

Alla guerra si lega un altro degli argomenti portanti del romanzo e di cui la Dr.ssa Mottino è esperta: il trauma. Tuttavia, nella mia interpretazione, anche il primo evento luttuoso, la morte violenta del marito di Chloé, è un trauma, che si ripercuote nelle generazioni successive… “La guerra era passata di padre in figlio, come un batterio era stata trasmessa alla generazione successiva”, recita il retro di copertina e ben esprime un concetto cardine dell’intero libro.

Nella premessa, infatti, l’autrice cita alcuni studi scientifici e dà al lettore qualche spunto di riflessione sul fatto che un “trauma cambia profondamente la vita di uno o più individui, anche nella loro genetica, e questa mutazione si trasmetterà fino alla terza generazione” (p. 6). Ciò significa che il nostro destino è già segnato in partenza? No, è la risposta finale.

Presentazione del romanzo a Firenze, organizzata da AIAU ODV presso il Caffè Letterario Le Murate.

La narratrice riuscirà a rompere la catena della sofferenza e ha scegliere per se stessa un futuro diverso. Adele chiude la genealogia, ma porta con sé i medesimi pensieri di Margot verso la madre: il dovere di essere perfetta per meritare amore e proteggere gli altri; come Isabella è la figlia non prediletta e non ascoltata. Anche lei è un’”eterna seconda”, come lo sono stati i suoi genitori e i suoi avi… Forse per questo il romanzo mi tocca così nel profondo: i miei genitori sono stati secondi rispetto alle loro sorelle ed io mi sono sempre sentita seconda alle loro famiglie di origine. Ne Il segno delle cose i figli si percepiscono come meno importanti degli altri, investiti del dovere di essere perfetti per meritare l’amore, sommersi dal dovere di aiutare i propri genitori, fin da bambini.

Adele, però, ha una forza diversa. Perché? A me che piace tracciare legami all’interno dei romanzi, viene spontaneo pensare che due elementi l’abbiano aiutata: la figura della nonna Noemi, che, per certi versi, è l’unica a portare avanti la propria storia con volontà e dedizione, senza colpa, nonostante il proprio doloroso passato, che la società marchia con lo stigma della vergogna (poi avrà la sfortuna che Enea, suo marito, torni cambiato dalla guerra): Noemi rompe le convenzioni, ignora le maldicenze della gente e sfida il padre. L’altro elemento è il ramo “spezzato” della genealogia di Chloé: i due figli che lei manda in America vengono adottati e sono felici; i loro discendenti tornano poi (lo vediamo proprio all’inizio del romanzo) per cercare le proprie origini… Grazie a questo fortuito legame, Adele andrà a studiare all’estero, lontana dal proprio ambiente familiare, nel quale ritorna, ma con un bagaglio di esperienze differenti.

Presentazione del romanzo a Firenze, organizzata da AIAU ODV presso il Caffè Letterario Le Murate.

La narratrice, che sta ricadendo negli stessi meccanismi dei suoi avi (uomo sbagliato, cura della madre, responsabilità e senso del dovere verso tutto), cambia rotta e il suo destino si alleggerisce. Come? È la prima a comprendere che la sofferenza non va nascosta e ignorata, ma affrontata, lavorata, elaborata e, persino, raccontata. Emerge qui anche il ruolo fondamentale attribuito alla narrazione, sull’importanza del quale si apre il romanzo: “Sono quelli che la raccontano a fare la storia: più di quelli che la fanno” (Hegel). Il dolore deve acquisire un senso e non può essere eterno; non è un caso che Adele abbia scelto la carriera di anestesista, contro il dolore fisico, ma anche della vita.

“Mi sono resa conto che per guarire il dolore bisogna metterci le mani dentro e attraversarlo: solo così si può uscire dal dolore.”

p. 282
Elisabetta Mottino, "Il segno delle cose" - copertina.



“È difficile osservare da vicino il dolore, si teme che con uno sguardo si possa risvegliare e riacquistare forza.
In realtà il grande potere dei dolori sta nel loro lavorio segreto, all’ombra delle anime e dei ricordi, in pertugi profondi e nascosti, da cui si diffonde inesorabilmente.
Un dolore rivelato invece perde forza, man mano che se ne parla diviene conosciuto, spiegato, integrato nella vita, restituito a un senso.
In dolore senza un senso è immortale, cresce e si trasforma, attraverso il tempo e le persone.”
p. 257

Senza voler svelare troppo, la conclusione del romanzo è positiva e al tempo stesso anche aperta, come dovrebbe essere ogni squarcio di speranza verso il futuro. Non è l’unica boccata d’aria all’interno del libro, però: più volte la vita irrompe nella spirale della sofferenza, sebbene le protagoniste non riescano a cogliere l’occasione per tracciare un destino diverso.

La storia narrata, per quanto dolorosa, non è solo buio e tenebra, ma anche amore, tratti di speranza, forza di vivere e determinazione. Questo si rispecchia in uno stile scorrevole e fresco, piacevole da leggere… [Unica piccola pecca è un’edizione non perfettamente curata, con, ad esempio, alcuni errori di battitura e trascurabili problemi di impaginazione.]

Il dolore profondo impedisce la felicità piena e totale, ma sarebbe semplicistico affermare che l’intera storia si riduca ad esso. Vi sono, infatti, momenti felici e l’esistenza che, pressante, esige di essere vissuta (anche se poi questi stessi eccessi di vitalità vengono spesso percepiti come una colpa). Il grande realismo del romanzo risiede anche in questo punto: i personaggi non sono figure stereotipate, mere portatrici di una teoria psicologica, ma persone vere, con le loro luci e le (ahimè molte) ombre. Per questo immedesimarci è facile: tutti noi lottiamo, chi contro un passato e ciò che è stato tramandato, chi contro eventi che si trova ad affrontare. Per me, la vita stessa è questa lotta, ed in essa troviamo la sua bellezza e la possibilità di autodeterminazione.

“Dover pensare a salvarsi ti obbliga ad accettare il fatto che in realtà tu non vuoi morire.”

p. 151


TRAMA

Il romanzo narra la storia di cinque generazioni di donne dal 1870 ai giorni nostri, le quali affrontano la vita cercando di superare il dolore del passato. Ispirato a studi scientifici che affermano che gli eventi accaduti ai nostri avi possono influenzare il nostro sviluppo cerebrale e comportamentale, il libro parla del trauma e dei legami tra genitori, figli e non solo. Dalla spirale della sofferenza è possibile uscire perché ognuno di noi è parte di una storia, ma non è una storia già scritta.

Locandina della presentazione a Firenze, organizzata da AIAU ODV.



ELISABETTA MOTTINO

Nata a Biella, Elisabetta Mottino è psicologa psicoterapeuta, vive a Udine con il marito e il figlio, dopo aver abitato alcuni anni nei Balcani. È specializzata nella cura del trauma, si occupa di terapia familiare e di adozioni internazionali, in qualità di referente di sede per l’Ente Autorizzato AIAU ODV. Ha pubblicato nel 2014 il libro Professione Tagesmutter. Suggerimenti e consigli pratici per aprire un asilo nido in casa con Franco Angeli. Nel 2022 è uscito il suo primo romanzo, Il segno delle cose.


IL LIBRO

Elisabetta Mottino, Il segno delle cose, L’Erudita, Giulio Perrone Editore S.r.l., Reggio Calabria, 2022.
> https://www.giulioperroneditore.com/prodotto/il-segno-delle-cose/



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