Grandi Classici Libri

LA FOLLIA DI UN “TIRANNO”

Riflessioni sul Saul di Vittorio Alfieri

Il libro di colore azzurro e bianco sopra un legno scuro ma caldo con venature, una chiave e una manopola di un cassetto.

Avete presente quei lettori compulsivi che comprano addirittura dalle ceste di libri usati delle edicole di quartiere? Ecco, io sono una di quelli e nel caso specifico l’edicola è un posticino minuscolo sorvegliato da due cani meticci indifferenti a chiunque provi ad avvicinarli. È buffo perché in realtà è molto più probabile che io legga qualcosa di comprato in modo casuale, piuttosto che se vado apposta in libreria. Chissà perché.
Ho comprato il Saul di Vittorio Alfieri per mero omaggio all’autore. Avevo un ricordo piuttosto vago della sua produzione, ma sapevo si trattava di una delle sue (19) tragedie. Avevo il sentore che, come nella maggioranza dei casi, ci fossero un tiranno, un eroe e un’affermazione contro la prepotenza a favore della libertà.

Prima pagina del libro con il titolo dell'opera, l'editore, la scritta tragedia e "introduzione e commento di Luigi Gessi", Sotto, la firma di Fiorella Betti e sopra in angolo a dex luogo e data.
La prima pagina del libro si è rivelata una piacevole sorpresa. La tragedia apparteneva a Fiorella Betti, che la lesse per la prima volta nel settembre del 1956 a Trieste.

Non immaginavo che la figura di Saul fosse ben più complessa e interessante di quella di un normale tiranno; dirò di più, nel mio sentire è il personaggio più umano e più bello dell’intera tragedia. Più sfaccettato e attraente di David, che nella sua perfezione non risulta (per me) così interessante, sebbene sia d’accordo con il definirlo una figura commovente; ancor più di lui è meraviglioso Gionata, figlio di Saul e che avrebbe dovuto considerare l’amico come un rivale. David rappresenta la parte pietosa di Dio, Achimelèch quella minacciante e irritata; ripeto, sono personaggi che non destano in me particolare attrattiva.

Degno di nota è invece il consigliere astuto e ingannatore Abner, ministro guerriero di Saul, amico più che servo. Viene riconosciuto da David come bravo stratega (suo, infatti, è il piano per sconfiggere i Filistei in battaglia), ma è troppo ottenebrato dal proprio pregiudizio, troppo impegnato ad adombrare chi considera quale suo rivale invece di adoperarsi per il bene. Ciononostante mi pare che comunque ricerchi il meglio per la patria, e per Saul stesso, confondendo purtroppo i propri interessi con quelli di chi lo comanda.

Come dicevo, la figura che preferisco è senza dubbio quella di Saul, che nei suoi deliri sembra dire più verità e racchiudere più umanità di un sano di mente. Secondo la Bibbia, egli viene punito da Dio poiché ha disobbedito ai sacerdoti; tuttavia, anche qualora non credessimo nell’ira di Dio, il suo stato di turbamento potrebbe senza dubbio derivare proprio da questo suo credersi perseguitato. Ciò che suscita è più pietà che ribrezzo. Inoltre, sebbene preda di cambi repentini di stato d’animo, rimane sempre e comunque un re; e come tale muore: una morte che lo rende una figura ancor più grandiosa.

Ch’io viva, ove il mio popol cade?

(…) Vinto re non piange.

Vittorio Alfieri, Saul, Rocca san Casciano, Cappelli Editore, 1954, pp. 77-78.

È interessante il modo in cui Saul descrive la casta sacerdotale, come riesce a gettare una leggera ombra sulla morale (di Dio?). Dice infatti di non aver voluto uccidere il re degli Amaleciti, Agag, come invece avrebbe voluto il sacerdote Samuele: ciò ha provocato la rabbia di Dio e dei suoi accoliti. Tuttavia l’assassinio del monarca sarebbe stato un atto di viltà, non degno di Saul.

pp. 65-66

(…) Reo di coraggio
Parve egli al fero Samuel: tre volte
Con la sua man sacerdotale il ferro
Nel petto inerme ei gl’immergeva. – Son queste
Queste son, vili, le battaglie vostre.


La copertina del libro con sfondo un legno scuro e caldo con venature, sotto una decorazione floreale dello stesso legno.

Infine vorrei soffermarmi sulla figura di Dio rappresentata nella tragedia, scritta nel 1782 in seguito alla lettura della Bibbia e a “quell’invasamento” ricevuto (parole di Alfieri nella sua Autobiografia). Saul e Merope sono le due rappresentazioni scritte in modo più spontaneo dall’autore, che avrebbe voluto dedicare la prima a papa Pio VI, il quale però la rifiutò in quanto rappresentazione teatrale. Alfieri la dedicò quindi all’amico abate Valperga di Coluso. La dedica ad un uomo ecclesiastico fa sì che non possa mettere in dubbio l’importanza della Bibbia (e del Libro di Samuele, da cui l’autore attinge) nella composizione dell’opera e l’autenticità della fede e della gloria di Dio promossa dalla tragedia. Ciò aleggia dal primo fino all’ultimo atto, in cui Saul muore mentre David rimane il puro campione di Dio. Il Dio rappresentato da Alfieri è al tempo stesso amore e compassione e rabbia e ferocia; lo dimostrano le parole dello stesso David:

pp. 24-25

(…) se Iddio dall’etra
Il suo rovente folgore sprigiona!
Spesso, tu il sai, nell’alta ira remenda
ravvolto egli ha coll’innoscente il reo.
Impietuoso, trabalza ai suoi, stritola, annulla
Del par la mala infetta pianta, e i fiori,
Ed i pomi e le foglie.

L’idea di un Dio che travolge nella propria ira il colpevole e l’innocente è forse un po’ lontana dalla rappresentazione misericordiosa che ne abbiamo oggi, eppure mi sembra quanto mai attuale, sinceramente e profondamente umana.



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