Libri Romanzi

“PERDERSI” DI ELIZABETH JANE HOWARD

Un romanzo disturbante e vero

416 pagine. Non si giudica un libro dalla lunghezza, mi si dirà. Potrei essere d’accordo, ma, d’altra parte, non si giudica un libro nemmeno dalla copertina, eppure inevitabilmente siamo attratti da determinati colori piuttosto che da altri, troviamo accattivante una grafica, intrigante un titolo… Io, un libro di 416 pagine non lo avrei mai comprato. Per fortuna c’è mia madre e l’infinita quantità di regali (libri) natalizi. Mia mamma è quindi l’indiretta responsabile di un miracolo avvenuto dopo forse un decennio di cupo terrore verso i romanzi troppo lunghi: l’ho letto in una settimana. Dopo un primo scoramento, all’inizio, ho macinato le pagine e in poco più di sette giorni avevo già finito l’ultima uscita della famosa autrice de La saga dei Cazalet, Elizabeth Jane Howard. Si potrebbe desumere che il libro mi sia piaciuto… Sinceramente non saprei; di sicuro volevo finirlo, ma i miei occhi correvano tra le parole stampate più per un’urgenza di porre un termine ad un’agonia, sapere che tutto sarebbe andato per il meglio, estirpare una sofferenza o un disagio…

Romanzi di questa lunghezza possono essere ostici, mentre Perdersi è scorrevole, non si perde in pagine “vuote”, in pomposità o compiacimenti narcisistici da parte dell’autrice. Ogni informazione, avvenimento, introspezione dei personaggi è trattata in modo diretto, schietto, direi persino prosastico. È un libro che, per questo, definirei con il non adatto aggettivo di “vero”.

Copertina del libro Perdersi in un vaso di fiori arancioni con grandi pistilli gialli; si intravede una ringhiera marrone e una mano che tiene il libro.


Alleggerisce il racconto la scelta di alternare i punti di vista dei due protagonisti: uno, Henry, parla in prima persona, mentre i pensieri dell’altra, Daisy, sono sondati da un narratore esterno; solitamente hanno un capitolo a testa e qualche volta il medesimo episodio è raccontato da entrambe le prospettive. Sono dettagli che apprezzo molto e che da sempre mi hanno spinta ad una maggiore riflessione su ciò che stava accadendo… Rendono però più difficile l’immedesimazione e, sebbene alla fine io abbia parteggiato spudoratamente per Daisy, comunque non mi sono mai davvero immedesimata in lei. Forse pure per tale motivo non trovo Perdersi un romanzo avvincente, nell’accezione più tradizionale del termine.

Infine, snellisce di molto la lettura l’uso di lettere e diari: ciò non affatica il lettore e aggiunge un tocco in più di sapiente maestria. L’autrice è senza alcun dubbio un talento… capace di cogliere l’animo umano, anche quello maschile, tanto che in dei tratti in cui è Henry a narrare ci si dimentica che la scrittrice è una donna; dalla mia prospettiva femminile, infatti, certi pensieri, convinzioni, sbruffonaggini potrebbero venire in mente solo ad un uomo!

Parliamo adesso della storia: potrebbe piacermi, anzi, ero convinta che mi sarebbe piaciuta… Il romanzo si apre con uno squarcio sul passato (sappiamo già dalla prima pagina come l’amore si è concluso) e si distende in un finale piuttosto aperto. Al primo approccio credevo si trattasse di una storia romantica, o almeno di due innamorati, o comunque di un innamoramento. È davvero così? Non posso dare una risposta senza svelare troppo del libro… Direi che è una questione di prospettiva. È amore quando ci si persuade di amare? E, dall’altra parte, se ci si persuade davvero, fino a che punto non è amore? Si può amare qualcuno che non si conosce davvero?

Insomma, considerata anche la velocità con cui l’ho divorato, questo romanzo mi è piaciuto o no? Non saprei dirlo. Forse la risposta più vera è che sì, mi è piaciuto, ma non è un libro che mi ha risuonato dentro. Ottima struttura, approfondimento psicologico dei personaggi, svolgimento della trama, però… Non mi ha toccata nel profondo. Non mi sento Daisy né tantomeno Henry. Nella fretta di finire, mi ha spinta la curiosità ma anche l’imbarazzo: fin dalle prime pagine ho combattuto contro un senso di disgusto perché sin dall’inizio di percepisce che qualcosa non torna, come se fosse sbagliato.

Riformulo quanto ho scritto: questo romanzo mi ha toccata perché sono stata disgustata, indignata, imbarazzata… Ma non l’ho sentito mio, non mi ha coinvolta nelle viscere, non mi è parso che mi appartenesse. Dipinge qualcosa di reale, lo fa con sapienza e stile, ma non parla di me, nemmeno di una parte di me.

Copertina del libro Perdersi in un vaso con foglie verdi; sulla copertina è disegnata una donna che cura delle rose.


Concludo dicendo che, a mio parere, pure il finale è privo di un messaggio di speranza perché la storia si conclude con la situazione iniziale, senza che i personaggi abbiano davvero compreso qualcosa, siano cambiati in alcun modo… Non hanno imparato alcunché, non sono cresciuti, maturati. L’impressione che facendo scorrere tra le dita l’ultima pagina è che Henry e Daisy ripeteranno in futuro le medesime scelte e tutto sarà una ripetizione senza scampo. Personalmente solo solita adorare questo genere di riflessioni tragiche, ma qui mi sembra che manchi qualcosa… Forse la solennità, la grandezza data dallo spessore dei personaggi. Insomma, il disgusto che mi ha nauseata cede il posto all’indifferenza.

Sono passati alcuni mesi da marzo (2021), quando l’ho letto… E continuo a rimanere sulle mie impressioni di allora. È un libro che consiglierei, è un bel libro, ma forse, semplicemente, non è un libro che parla a (e di) me.



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