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“QUEL CHE SI VEDE DA QUI” DI MARIANA LEKY

Un romanzo dolce, profondo e delicato

Questa volta è stato il mio ragazzo, Lorenzo, ad aver colpito con un regalo di un libro! Un dono ancor più gradito perché è andato a prenderlo alla mia libreria di fiducia, Leggermente, e ha seguito i preziosi consigli che gli hanno dato. Regalo di San Valentino, ho letto questo romanzo tutto di un fiato nel mese di aprile (2021) e mi ha affascinata e travolta fin dalle prime pagine.

Alessandra, la libraia, ha consigliato Quel che si vede da qui perché si ricordava di aver già colto nel segno quando mi aveva suggerito un altro romanzo, Teresa degli oracoli. In effetti, ho riscontrato non poche somiglianze tra i due libri; si possono stabilire molti parallelismi: l’importanza della casa, perno focale intorno a cui tutto sembra ruotare; la saggezza di una donna anziana che alla fine affronterà la morte; la coralità data da un narratore e da una costellazione di personaggi, dalle loro storie, emozioni, frammenti e racconti; la presenza di una protagonista femminile, giovane, che è la voce narrante in prima persona. I due romanzi si somigliano anche per lo stile con un carattere fresco e al tempo stesso profondo, dal sottotono quasi magico; un’indagine sulla verità e sui significati dell’esistenza svolta con sapienza e leggerezza, calibrando una dose di realismo e di avvenimenti razionalmente inspiegabili e oscuri, ma che guidano, proteggono, indicano la giusta direzione nella vita.

Selma può predire la morte ogni volta che in sogno le appare un okapi: già solo questo ci dà la misura della dose di realtà e di fantasia; perché proprio un okapi? Davvero può prevedere l’arrivo di un lutto? Il sogno e l’avverarsi della premonizione sono realmente collegati o è la nostra mente di esseri umani che è sempre alla ricerca di connessioni per poter attribuire un senso? La peculiarità di Selma è solo uno degli esempi di caratteristiche e avvenimenti magici all’interno del romanzo, coincidenze inspiegabili, ma sempre accompagnate da un grande approfondimento psicologico, da un realismo dei personaggi e persino della crudezza della vita (come un incidente ferroviario).



Uno dei temi centrali del romanzo è la morte: essa serpeggia all’interno del libro fin dalle prime pagine, che iniziano proprio con un’immagine di scomparsa, strettamente legata al ritorno, alla memoria, all’immagine del ricordo impresso nella mente: “Se si fissa a lungo una cosa ben illuminata e poi si chiudono gli occhi, davanti all’occhio interiore si vedrà comparire la stessa identica immagine, una sorta di impronta persistente in cui ciò che in realtà era chiaro appare scuro e ciò che in realtà era scuro appare chiaro” (p. 13). Mancanza, scomparsa e ricordo, luce e ombra, chiaro e scuro sono tutti in contrasto, ma complementari, intrecciati in un nodo indissolubile.

Ugualmente, la morte scorre insieme alla vita, costellate entrambe di segreti, inerzie, domande ossessive e casualità fatidiche; gli avvenimenti si susseguono mossi da una casualità non casuale (come l’incontro nel bosco con Frederik), affiancata da una casualità spietatamente insensata (la prima delle scomparse del romanzo, che pure è motore di cambiamenti, eventi, scelte fondamentali). La morte sembra il motore per svelare le verità più nascoste, per far emergere conflitti interiori; la previsione della dipartita fa palpitare la vita oppure raggela e immobilizza, ci fa ostentare indifferenza o ci spinge a correre verso chi amiamo.

“(…) capii che l’uomo giusto era quello che risparmiava alla propria donna lo spettacolo inesorabile del mondo che fa il suo corso.”

(p. 58)

Quelle dei personaggi sono tutte vite spezzate che si aggiustano, si incollano, si sostengono a vicenda, ma si avvitano anche e si chiudono su se stesse. Quel che si vede da qui è un libro che parla di unione, amicizia, famiglia, solidarietà e amore in tante forme, come pure delle idiosincrasie di ciascuno e delle verità celate, voci interiori che brutalizzano, sfiancano e ricerche infinite, depressioni non curate. Basta pensare all’amore nascosto dell’ottico e al fatto che proprio la sua mancata espressione gli permette di vivere al meglio la più bella, completa e sincera amicizia con una donna che non avrebbe forse potuto accettare quell’affetto; oppure all’inettitudine della protagonista e alla sicurezza di cui invece sembra essere dotata quando comprende che Frederik è destinato a diventare il compagno della sua vita.

Divertenti ma profondi sono i riferimenti alla cultura orientale, al buddismo, alle massime che non si comprendono e che alla fine si capiscono solo dall’esperienza; ho apprezzato molto anche tutti gli accenni alla psicanalisi e alle sue interpretazioni, fino all’episodio dolce-amaro, ironico e triste, della decisione di prendere un cane perché possa essere una metafora del dolore, affinché esso possa essere esternalizzato (“alla fine lo avevamo chiamato Alaska (…) mio padre era d’accordo perché l’Alaska era fredda e sconfinata, proprio come un dolore, se non altro un dolore stagnante” p. 53).

Il libro solca oltre vent’anni, ma il tono rimane sempre fresco come quello dettato dallo sguardo di una bambina, oltre i dolori e le insensatezze dell’esistenza. Dà speranza e insegna l’accettazione di eventi ineluttabili come la morte e i cicli della vita. Ci dice che siamo tutti connessi, tutti fallaci, ciascuno a suo modo indispensabile. Ci ricorda che dobbiamo ogni giorno aprire gli occhi e guardare davvero per poter vedere, e godere, della bellezza che ci circonda.



(pp. 87-88)

“Vivevamo in una terra pittoresca, meravigliosa, paradisiaca, lo suggerivano anche le scritte arcuate sulle cartoline che il bottegaio teneva esposte sul bancone. Eppure quasi nessuno se ne accorgeva: quella bellezza veniva puntualmente ignorata, saltata a piè pari, abbandonata a se stessa, ma saremmo stati i primi a lamentarci a gran voce se un giorno non si fosse palesata. L’unico che ogni tanto si sentiva in colpa per il trattamento quotidiano riservato alla bellezza era l’ottico.”

Quel che si vede da qui mi è piaciuto molto: si legge tutto di un fiato, è travolgente e al tempo stesso delicato, racconta storie che parlano di noi e che pure sembrano impossibili, nasconde un’eco che ci risuona anche quando non comprendiamo bene quale corda abbia toccato, forse perché ci sono note dentro di noi che non siamo abituati a sentire.

SINOSSI

Selma vive in un paesino del verde Westerwald e può prevedere la morte. Ogni volta che in sogno le appare un okapi, qualcuno lì intorno muore nel giro di ventiquattr’ore, minuto più minuto meno. Tuttavia, i sogni non rivelano mai chi stia per morire. E come si può immaginare, nel lasso di tempo tra il sogno e il compimento del triste fato tutti vivono in uno stato di agitazione… “Quel che si vede da qui” è il ritratto originalissimo di un paese e della sua bizzarra comunità così come ce li racconta la piccola Luise, ormai di casa dalla nonna Selma visto che i genitori sono alle prese con un matrimonio che non funziona. Poetico, divertente, toccante, mai sdolcinato o superficiale, questo romanzo è una fiaba dei nostri tempi e affronta i grandi temi dell’esistenza, l’amicizia, la perdita, l’amore inconfessato e quello che di fronte alle mareggiate della vita si muove per sentieri tortuosi. Come capita a Luise che, ormai cresciuta, si innamora del bel Frederik, il quale ha lasciato l’università per trasferirsi in Giappone in un monastero buddista…

MARIANA LEKY

Ha studiato Giornalismo culturale presso l’Università di Hildesheim, dopo aver svolto un tirocinio in una libreria. Oggi la sua vita si divide tra Berlino e Colonia. Il romanzo Quel che si vede da qui, pubblicato in Germania nel luglio del 2017, è rimasto per diverse settimane nei primi posti dei best seller e da allora a oggi è stabilmente tra i libri più venduti nelle librerie tedesche. È stato tradotto in più di quattordici lingue.

IL LIBRO
Titolo originale: Was man von hier aus sehen kann
Mariana Leky, Quel che si vede da qui, Keller editore, Rovereto, 2019 (prima edizione)


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