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TREKKING A MONTE CECERI E LA FIESOLE SCONOSCIUTA

Le cave e tradizioni, tombe e mura etrusche

Sabato 9 dicembre 2023

Ecco una breve escursione a Fiesole e Monte Ceceri. Si tratta di un percorso molto semplice e adatto a tutti, ricco soprattutto di storia e tradizioni…

Lunghezza complessiva3,4 km
Tempi di percorrenza2h
Dislivello130 m.
Grado di difficoltàMolto facile
SCHEDA TECNICA

LE MURA ETRUSCHE

Lasciamo l’auto nel parcheggio gratuito adiacente alla scuola primaria Teodoro Stori e proseguiamo all’interno del piccolo giardinetto con uno spazio adibito ad area giochi per bambini. Già in questo punto possiamo toccare con mano una parte di storia: osservando i muretti che delimitano il parco, creando dei terrazzamenti per alcune fila di olivi, possiamo notare come le pietre della cinta più in alto siano differenti dalle altre. Si tratta di ciò che rimane dell’antica cinta muraria etrusca! La tecnica costruttiva consisteva nel porre insieme grandi blocchi di pietra, un po’ irregolari nella forma, incastrati senza l’utilizzo di malta. Queste mura furono manutenute nel corso dei secoli, in quanto particolarmente utili non solo per la difesa ma anche per il terrazzamento.

Al tempo degli Etruschi, Fiesole era una città importante, facente parte della Lega delle 12 città e in grado di controllare la valle dell’Arno. Adesso ci troviamo fuori dalle mura: a destra si sviluppa il centro del borgo, davanti a noi scorgiamo il panorama su Firenze e la sua vallata, mentre a sinistra individuiamo facilmente il bosco che riveste Monte Ceceri.

La Fiesole etrusca si sviluppava sui due colli che cingono l’odierna piazza Mino, il fulcro dell’attuale città. Ancora oggi il simbolo del Comune è una mezzaluna, ovvero la forma che il borgo assume visto da Firenze. Furono gli etruschi i primi ad estrarre da queste zone blocchi di pietra per l’edilizia e i monumenti, anche se probabilmente non ebbero bisogno di spingersi fino a Monte Ceceri. In ogni caso, quest’area è stata utilizzata come luogo di cava dall’antichità fino agli anni ‘60/’70 del secolo scorso. Non a caso la strada che imbocchiamo, girando a sinistra, è chiamata “via degli Scalpellini”.

Monte Ceceri - sentiero.
Monte Ceceri - Cava Braschi.

MONTE CECERI

Dopo un breve tratto asfaltato, ci troviamo all’ingresso ufficiale di Monte Ceceri, segnato da un grande pannello illustrativo, costituito da alcune indicazioni (piuttosto perentorie) e un’utile cartina sulla quale possiamo individuare due tipi di sentieri: quelli del CAI (n. 2) e del Comune di Fiesole (n. 7 che coincide con il sentiero degli scalpellini).

Monte Ceceri (415 m. s.l.m.) è oggi una proprietà privata della Fattoria di Maiano; grazie ad un accordo con il Comune, però, è consentito l’accesso a piedi, ma solo lungo i sentieri segnati e facenti parte della RET (Rete Regionale Toscana). Numerosi cartelli lungo i percorsi segnalano la pericolosità e l’assoluto divieto di uscire dai percorsi tracciati; i cani devono essere tenuti al guinzaglio.

Esistono tre ingressi ai sentieri: quello indicato con la lettera A si affaccia sul piazzale Don Alvaro Ferri (già Prato ai Pini); il sentiero B inizia con via degli Scalpellini (quello che abbiamo percorso noi); il C è in via Doccia, alla Curva del Regresso, sotto alla Villa San Michele.

Proseguiamo il cammino proprio accanto al giardino dell’attuale albergo di lusso (avevamo visitato il suo parco in un’altra occasione: qui potete trovare tutte le informazioni). Ci addentriamo nel bosco, che si apre con un bell’affaccio panoramico su Firenze, di cui possiamo individuare i principali monumenti, in primo luogo il Duomo con la sua bella cupola rossastra.

L’origine geologica di Monte Ceceri è molto antica. Negli anni Cinquanta i primi scienziati che studiarono le successioni sedimentarie dell’Appennino Settentrionale riconobbero, proprio in questi affioramenti, prodotti di antichissime correnti sottomarine, i cui caratteri sedimentologici e lo studio dei microfossili presenti hanno indicato l’appartenenza ad un’età miocenica inferiore (circa 20 milioni di anni fa).

Monte Ceceri è, in verità, più un poggio che un vero e proprio monte; si dice che prese questo nome perché, in passato, era frequentato da cigni; questi volatili, data l’escrescenza presente sul loro becco, erano definiti dai fiorentini come “ceceri” (da cece).

Dopo l’affaccio panoramico scendiamo fino alla prima delle due cave più importanti dell’area: la Cava Braschi. Prima di approfondire le peculiarità di questo luogo, è necessario descrivere come avvenisse l’estrazione e quali materiali erano qui ricavati.

Monte Ceceri - roccia e segni di picchetto lungo il sentiero.
Monte Ceceri - Cava Fratelli Sarti.

LE CAVE E LA PIETRA DI MONTE CECERI

Nel De Architectura Vitruvio racconta la pratica professionale dell’estrazione della pietra in una sorta di manuale, mentre Leon Battista Alberti, nel suo trattato De Re Architectura, illustra le tecniche, le macchine per sollevare e sistemare i blocchi, le misure, i procedimenti. Nel Rinascimento celebri artisti come Brunelleschi, Michelangelo e Vasari commissionano le cavature della pietra serena, quale elemento caratterizzante della nuova architettura fiorentina.

Come anticipato, questa zona, Fiesole e Monte Ceceri, fu scavata fin dall’antichità e le cave più moderne furono utilizzate fino a oltre la metà del Novecento. L’apertura di ogni cava iniziava con l’asportazione, a pala e piccone, della scoperchiatura, cioè l’insieme dei materiali accumulati sui filari di pietra buona da lavorare. Il pietrame utile per lavori edilizi (sassi di medie dimensioni e sufficientemente duri) veniva recuperato; spesso le pietre venivano ritoccate per farne bozze dalle caratteristiche richieste.

La pietra morta, invece, un’arenaria farinosa giallastra che si sbriciola con una leggera percussione, veniva comunemente usata come materiale refrattario. Un altro tipo di pietra usato per lastrici erano i liscioni, cioè pezzi di filare con uno strato di galestro attaccato. Il resto del materiale doveva essere rimosso dal luogo di lavoro, lasciando passaggi sufficienti ai barrocci per il trasporto. Si veniva poi formando la struttura logistica essenziale all’organizzazione dell’ambiente di lavoro che era composta da piazzale, piano di carico, cumuli, magazzini, tagliata o fitta, pozzino, forgia.

Come si estraeva un blocco? Di solito si praticava nel monte una “fitta” per mezzo di subbia e mazzuolo. Usando subbie via via più lunghe si entrava nel vivo del masso. Il blocco, zeppato alla base, veniva staccato per mezzo di cunei di legno forzati e bagnati che schiantavano il retro del blocco consentendone l’estrazione.

Com’era il lavoro dello scalpellino? Attivo dall’alba al tramonto, in estate si riposava nel magazzino o all’ombra di un albero fatto crescere appositamente, mentre l’acqua era garantita dal pozzino, scavato nella cava per recuperare i “gemiti della roccia”, un’acqua fine che spesso abbonda nel masso. L’acqua serviva anche per lavarsi e per temperare i ferri; a tale scopo era realizzata una vasca rettangolare, scavata da un monoblocco di pietra, comune anche nelle botteghe dei fabbri e dei calzolai. Si racconta che a fine lavoro, d’inverno, l’acqua scaldata dalla tempera veniva usata per lavarsi i piedi. Bagnare gli strumenti del mestiere, inoltre, riduceva la polvere con minori probabilità di silicosi, la malattia tipica degli scalpellini.

“(…) di quella pietra ch’è detta serena
(nasce del Monte Céceri in gran copia)
schietta pietra, pendente nell’azzurro
alquanto, di color d’acqua piovana
ove cotta la foglia sia del glastro.”

Gabriele D’Annunzio
Alcyone, ne L’opere e i giorni, vv. 20-24

Che pietra veniva estratta a Monte Ceceri? Si tratta di una pietra arenaria, di origine sedimentaria: la possiamo ben vedere anche nei blocchi lungo il sentiero, distinguendo facilmente i vari strati di cui è composta. Non si tratta, tuttavia, della medesima pietra, ma ce ne sono di differenti, indicate con nomi quali Pietra durissima, Sereno ordinario, Sereno gentile, Pietra del Fossato o delle Colonne, Pietra Bigia, Filone Bandito, Pietra Morta, Granitello, Cicerchina, Tramezzuolo, Mortaione, Verga, Pietra Cerro, Sassocorno. Queste denominazioni volgari indicano varie tipologie, adatte ad usi diversi, a seconda delle loro caratteristiche; potevano essere utilizzate per edilizia e architettura (monoliti, colonne, architravi, capitelli, stipiti, trabeazioni), arredo civile e sacro (acquasantiere, pulpiti, parapetti, altari, cornici, fregi, stemmi), arredo urbano (lastrici, chiaviche, panchine, cimase, fontane), ornato (cornici, imbotti, capitelli e composizioni varie). Come anticipato, la pietra più dura era utilizzata, mentre quella che si sfaldava era scartata e, quando non recuperata in altro modo, era abbandonata in pile: ne sono chiare le tracce impresse nella morfologia della collina, il cui crinale è frastagliato da numerose collinette, che paiono dei veri e propri “bozzi” sulla superficie.

Per cosa era utilizzata la pietra? Dagli etruschi ai romani, da Brunelleschi a Michelangelo, per secoli i massi qui estratti furono utilizzati in numerose opere. Eccone alcuni esempi: le mura etrusche e il teatro romano di Fiesole, le statue delle due leonesse all’ingresso del Parco delle Cascine, l’Arco dei Lorena in piazza della Libertà e la facciata della Biblioteca Nazionale di Firenze (per le ultime due è stata usata una pietra dalla colorazione marrone, non grigia come negli altri casi, e molto più propensa a danneggiarsi, sfaldandosi). La varietà utilizzata per l’architettura, estratta già dagli Etruschi, non a caso era chiamata Pietra Fortissima.

Due sono i tipi di cava presenti a Monte Ceceri:

  • Latomia, detta anche ficcata o fitta, ovvero una cava a grotta, come la Cava Braschi e la Cava Canara;
  • Tagliata, cioè una cava a cielo aperto, togliendo materiale dalla parete, come la Cava Fratelli Sarti.
Monte Ceceri - Lorenzo e un'opera contemporanea.
Monte Ceceri - Cava Fratelli Sarti.

CAVA BRASCHI

La prima cava che troviamo lungo il nostro itinerario è latomia. Osservandola, seppure attraverso il reticolo della recinzione, ci appare come una grotta dalle numerose entrate e ci sembra un metodo estrattivo molto più pericoloso di quanto non fosse in realtà: grazie alla notevole esperienza degli scalpellini, infatti, la roccia era scavata senza crolli, utilizzando grandi pilastri come supporto.

Risalente alla prima metà del Novecento, questa cava, come le altre della zona, prende il nome dai proprietari, la famiglia Braschi. L’attività estrattiva, infatti, era a conduzione familiare e i resti che troviamo qui e nei dintorni appartengono ai secoli dall’Ottocento al Novecento (gli etruschi, invece, avevano scavato in primo luogo gli altri due monti, quello di San Francesco e di Sant’Apollinare, dove ora si sviluppa la città).

Dopo aver osservato Cava Braschi, torniamo indietro e giriamo a destra, lungo un sentiero in salita. Alla nostra sinistra notiamo una roccia con incisi i segni degli scalpellini: si tratta di una parete verticale, forse ora usata per l’attività di scalata. Continuiamo a salire fino a raggiungere un altro punto panoramico e alcune opere in arenaria, qui installate nei decenni scorsi per un’operazione di memoria e valorizzazione del territorio. Una delle più recenti è un bel sedile datato 2014.

CAVA FRATELLI SARTI

Il sentiero si allarga e ci troviamo davanti alla Cava Fratelli Sarti, un esempio di cava tagliata. L’enorme parete di roccia, infatti, è stata scavata progressivamente, erosa blocco dopo blocco. Le date di due annii sono ancora incise nella pietra…

Davanti ad essa ci fermiamo a leggere alcuni pannelli, che riportano foto tratte dall’Archivio di Settignano. A destra notiamo i resti di un edificio che doveva servire come deposito. Dalle foto e dalla descrizione, possiamo capire qualcosa di più sul mestiere dello scalpellino, la cui tecnica era antichissima e parte della cultura fiorentina, trasmessa nei cantieri e nelle botteghe. Nei ricordi degli scalpellini, infatti, emerge sempre la presenza dei ragazzi di cava: essi erano impiegati in piccoli servizi e lavori e iniziavano così l’apprendistato. Nella cultura fiorentina, sostanzialmente chiusa e conservatrice, il mestiere si è trasmesso uguale a se stesso fino all’avvento dell’industrialismo avanzato, non per l’estrazione ma almeno per quanto riguarda la lavorazione: è un raro caso di conservazione di una tecnologia per tutto l’arco della sua esistenza.

Qui lavoravano gli uomini provenienti dal vicino paesino di Borgunto, ma anche da Fiesole, Settignano e altre frazioni e borghi limitrofi. L’intera famiglia era coinvolta nell’attività estrattiva: a metà mattina le donne partivano con il fagotto del pranzo per portarlo agli uomini in cava. La maggioranza era di Borgunto, il nucleo medievale addossato alle mura etrusche e che serba ancor oggi vivo il senso della tradizione popolare. Sul percorso c’erano i pelaghi, lavatoi pubblici protetti da tettoie, costruiti su una sorgente d’acqua dove le stesse donne avevano un punto di ritrovo obbligato.

Infine, è interessante un aneddoto circa l’opposizione degli scalpellini (molti dei quali diventarono comunisti) al Fascismo: i lavoratori si ritirarono a vivere in cava durante tutto il giorno per evitare ogni contatto diretto con il centro del paese, imbruttito dagli uomini in camicia nera.

Monte Ceceri - Piazzale Leonardo da Vinci, monumento.
Monte Ceceri - panorama.

BOSCO E PANORAMA

Proseguiamo la nostra passeggiata prestando attenzione a due aspetti: il primo riguarda il paesaggio che ci circonda. Tutti gli alberi che vediamo oggi sono frutto di un rimboschimento avvenuto a partire dagli anni Trenta. L’antico bosco che doveva coprire Monte Ceceri nell’antichità era stato completamente raso al suolo, in conseguenza soprattutto l’attività estrattiva, che era arrivata a contare oltre quaranta cave attive! Una foto del 1929 ci mostra un terreno quasi completamente brullo, che venne progressivamente rimboschito fino al 1970, con una sospensione durante la guerra. La scelta degli alberi fu dettata in primo luogo dalla necessità di impedire le frane: per questo abbondano i cipressi, che purtroppo, però, non sono particolarmente adatti a questo tipo di suolo.

Mentre saliamo verso il piazzale Leonardo da Vinci osserviamo il panorama, che spazia da Settignano a Castel di Poggio, dalle montagne del Pratomagno fino al Castello di Vincigliata, ricostruito nell’Ottocento in stile neomedievale dal politico inglese John Temple Leader. A lui dobbiamo il rifacimento anche di Villa I Tatti, sempre a Fiesole, e della Fattoria di Maiano. Nell’antica cava di quest’ultima, utilizzata per l’estrazione di pietre che hanno contribuito, ad esempio, alle rifiniture delle Cappelle Medicee, Mr. Leader realizzò un lago, che mostrava con orgoglio a ospiti illustri, tra cui la regina Vittoria.

PIAZZALE LEONARDO DA VINCI

Ammirando il panorama e salendo i gradini di una breve scala, siamo giunti ad uno dei luoghi più iconici di Monte Ceceri: il piazzale Leonardo da Vinci, così chiamato in quanto fu usato da Leonardo Da Vinci come “trampolino” per collaudare la sua Macchina del Volo, nel 1506. La Macchina riuscì a planare per circa mille metri, atterrando in località Regresso (Fiesole) sulla strada che oggi prende appunto il nome “Largo Leonardo da Vinci”.

Non fu Leonardo stesso a lanciarsi, ma il suo coraggioso collaboratore, Tommaso Masini, noto anche come Zoroastro da Peretola. È stato il primo esperimento di volo ad essere stato documentato (dallo stesso Leonardo) nel Codice del volo, manoscritto che può essere considerato come la summa dei pensieri di Leonardo sul volo e molto altro.

Nel piazzale, oltre ad un grande pannello illustrativo con numerose informazioni su Monte Ceceri, troviamo il monumento dedicato a Leonardo da Vinci, che recita, incisa nella pietra, una delle sue più celebri frasi sul grande sogno del volo: “Piglierà il primo volo il grande uccello sopra del dosso del suo magno Cecero, empiendo l’universo di stupore, empiendo di sua fama tutte le scritture, e gloria eterna al nido dove nacque”.

“Ma quello ingrato popolo maligno,
che discese di Fiesole ab antico,
e tiene ancor del monte e del macigno.”

Dante, Inferno XV 61-63

Dante descrive così Fiesole, da cui pensa discendano i fiorentini, che conservano ancora la rozzezza dei montanari e di questi luoghi di fatica.

Fiesole - Borgunto.


A FIESOLE


Iniziamo adesso a scendere verso l’abitato di Borgunto, che raggiungiamo dall’ingresso di Prato ai Pini. La strada torna asfaltata e ci addentriamo tra le case private; imbocchiamo via dei Medici, in discesa, e proseguiamo lungo una scala ornata da un grazioso dipinto di un artista del posto, che rappresenta affacci e vedute di Fiesole.

FONTE SOTTERRA

A sinistra notiamo la prima delle due chicche di una Fiesole meno conosciuta: la Fonte Sotterra, che indica, almeno dal secolo XVI, una grotta artificiale scavata nella roccia e situata al centro dell’abitato di Borgunto subito fuori dalle mura etrusche orientali di Fiesole.

Fiesole - Fonte Sotterra.

Il suo sviluppo lineare va dal cancelletto d’ingresso per circa 32 metri e mezzo in direzione della strada principale con una larghezza di circa 11 metri ed una altezza variabile media a misura d’uomo. Nel fondo, sotto la strada, la profondità è di 14 metri e mezzo rispetto all’ingresso. Si tratta di un manufatto idraulico ottenuto con il taglio degli strati di galestro (marne) presenti tra i banchi di macigno al di sopra e al di sotto, per catturare le numerose piccole vene d’acqua e favorirne l’accumulo ad uso del villaggio.

Se ci accostiamo alla recinzione possiamo, con l’aiuto di una torcia, intravedere l’interno, in particolare i caschi addossati alle pareti e la lunga scala che si addentra sottoterra. Qui si trova un ambiente enorme, che ancora conserva le tracce dei ferri usati per crearlo. Numerosi sono i nomi di famiglie di scalpellini, accompagnati da una data, scolpiti in vari punti nella roccia. I materiali rocciosi estratti furono stipati all’interno con la tecnica del muro a secco: il cunicolo risulta percorribile quando l’acqua si ritira verso il fondo, nella stagione secca e in seguito all’attingimento.

Per gli archeologi antiquari dell’Ottocento si trattava di un’opera etrusca e per i viaggiatori europei del Grand Tour era una delle meraviglie dei dintorni di Firenze carica di significati archeologici e perfino magico religiosi.

TOMBE ETRUSCHE DI VIA DEL BARGELLINO

Proseguiamo a scendere e svoltiamo a sinistra per visitare la Tomba etrusca di via del Bargellino.

In questa zona, a partire dall’ultimo ventennio dell’Ottocento, furono scoperte quattro tombe etrusche del periodo ellenistico; altre due furono rinvenute casualmente nel 1957 durante lavori edili in alcune abitazioni in via Matteotti.

Esse erano parte della necropoli ellenistica di Fiesole, costruita subito fuori dalle mura. Le tombe avevano una cella rettangolare formata da grandi blocchi di pietra serena sovrapposti a secco e inserzione di zeppe: nello spazio della cella si trovavano banchine a più gradini sulle pareti laterali e su quella di fondo.

Sulle banchine erano poste le urne, semplici casse parallelepipede in pietra con coperchio piano a doppio spiovente. I corredi funebri erano molto semplici, con piccoli balsamari in terracotta e, in un caso, una spatola in bronzo. La porta di una delle tombe è stata trasportata all’interno del Museo Archeologico di Fiesole ed è visibile subito dopo l’ingresso.

I seppellimenti più recenti sono databili entro la metà del I secolo d.C. Si tratta di cinerari ovoidali con coperchio a presa concava: il rito funebre prevalente è quello inceneritorio. Gli ultimi seppellimenti, del IV secolo d.C., sono semplicemente inumazioni.

Fiesole - Tombe etrusche di via del Bargellino.
Fiesole.

Purtroppo, il sito archeologico non è particolarmente ben tenuto e valorizzato, ma possiamo comunque apprezzare la grandiosità delle tombe, gli enormi blocchi di pietra, ricavata proprio dalle cave di questa zona, la struttura a edicola, che ci ricorda quelle che abbiamo visto alla Necropoli di San Cerbone a Populonia.

Il nostro itinerario sta per terminare: proseguiamo in salita e ci fermiamo per una sosta alla terrazza panoramica del Circolo Arci di Fiesole. Da qui possiamo apprezzare una bella veduta su Trespiano, Monte Morello e Monte Senario, oltre a Poggio Conca.

Il parcheggio dove abbiamo lasciato l’auto è poco distante, dopo una breve salita… Fiesole è certamente una delle mete più conosciute vicino a Firenze, ma nasconde sempre luoghi insoliti e tradizioni sconosciute


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