Chiesa, chiostro e museo
Domenica 16 aprile 2023
Durante il nostro secondo weekend che abbiamo trascorso sull’Appennino Tosco-Emiliano, mentre scendevamo lungo la Val di Bisenzio abbiamo incluso tra le nostre tappe anche il piccolo borgo di Vaiano, la cui attrazione principale è costituita senza dubbio dalla Badia di San Salvatore.
Parcheggiamo in una stretta strada parallela al torrente e ammiriamo l’abbazia da diverse prospettive: prima ci godiamo uno scorcio del retro, con l’elegante campanile e il prato di erba fresca e margherite che conferiscono un aspetto ancora più bucolico a questo luogo. Poi ci spostiamo davanti alla chiesa, nella piazza che si sviluppa in lunghezza di fronte alla facciata seriosa e al corpo del monastero, al cui pian terreno è oggi aperto il museo.
L’ingresso è gratuito e accessibile anche ai cani, ma gli orari sono piuttosto ristretti: perciò è meglio consultare il sito o telefonare per informazioni. Mentre attendiamo le 16, raccogliamo un po’ di informazioni sulla Badia.
LA STORIA
L’abbazia di San Salvatore di Vaiano fu fondata sulla destra del torrente Bisenzio dai monaci benedettini cassinesi, probabilmente tra il IX e il X secolo (è nominata per la prima volta in un documento del 1057): la dedica al Salvatore ci riconduce a tradizioni longobarde.
Subito dopo la morte di San Giovanni Gualberto, fondatore di Vallombrosa, durante il governo del beato Rodolfo (1073-1076) il monastero aderì alla riforma vallombrosana.
Grazie alle donazioni e ad una accorta politica di acquisti, il patrimonio fondiario della Badia era assai ricco ed esteso: le terre venivano concesse in affitto e gradualmente nell’amministrazione dei beni del monastero compare la mezzadria (XV sec.).
Le colture erano le più varie: cereali, uva (da cui si ricavavano buoni esemplari di vino vantaggiato e vermiglio), olive (per produrre un olio di buon pregio nel frantoio situato all’interno del monastero).
Alcuni appezzamenti erano lasciati a bosco (quercia e castagno): le ghiande servivano per l’allevamento degli animali, mentre le castagne, seccate e ridotte in farina, erano una fonte primaria per l’alimentazione degli uomini.
I monaci non si dedicavano solo ad attività agricole: importanti rendite venivano loro anche da attività “industriali”, come i mulini e le gualchiere (per la follatura dei panni di lana) che sfruttavano per la maggior parte le acque del Bisenzio e dei suoi affluenti.
Fra il XIV e XV secolo il sistema della commenda condizionò l’attività del monastero: i commendatari, una volta riscossi i proventi, non si preoccupavano dell’esigenze dei monaci.
La Badia dette segni di ripresa nella seconda metà del XV secolo, al tempo delle commende medicee: quella di Carlo, figlio naturale di Cosimo il Vecchio, e quella che Lorenzo il Magnifico ottenne dal Papa Sisto IV per il figlio Giovanni, il futuro papa Leone X. Alla commenda pose termine nel 1499 don Biagio Milanesi, abate di Vallombrosa, che riuscì a liberare il monastero di Vaiano, in cambio di una pensione annua di 2.000 scudi.
Nel 1538 lo scrittore Agnolo Firenzuola fu nominato usufruttuario e amministratore perpetuo del monastero, con una prebenda che gli permise di vivere a Prato, conteso dalle famiglie nobili.
L’andamento positivo del monastero continuò nei secoli seguenti. Dalle memorie del monastero, abbiamo notizia di continui lavori di trasformazione di questo complesso con interventi neorinascimentali e barocchi.
Dopo la soppressione napoleonica (1808) l’edificio monastico fu al centro di lunghe azioni giudiziarie per questioni di proprietà, che trovarono nel priore don Vincenzo Materozzoli un instancabile promotore. Appassionato cultore della storia dell’antico monastero, promosse nel 1872 i primi “restauri” della chiesa.
Mezzo secolo più tardi mons. Giuseppe Gori, poi Vescovo di Nepi e Sutri, promosse radicali lavori di restauro sotto la direzione del Prof. Adelio Colzi: essi terminarono nel 1929 e dettero alla chiesa una nuova veste neoromanica.
In quella occasione fu riscoperta la cripta romanica sotto il presbiterio, ma furono purtroppo eliminati numerosi elementi decorativi della chiesa di epoca barocca e le numerose lastre tombali di monaci e abati del monastero.
LA CHIESA E IL CAMPANILE
Tre parti si possono individuare nel complesso architettonico, frutto di fasi diverse: la chiesa, il campanile, il monastero.
Entriamo prima nella chiesa, che è certamente la struttura più antica, risalente alla prima metà del XI secolo e presenta un impianto basilicale a tre navate con presbiterio rialzato dalla cripta, secondo l’uso del primitivo romanico fiorentino.
La torre campanaria, costruita nel 1258-66 e alta 40 m., è tipica dell’architettura vallombrosana.
Nel 1595, al termine di una generale opera di trasformazione e di abbellimento, la chiesa abbaziale venne riconsacrata. Di questo intervento tardo rinascimentale oggi restano due interessanti dipinti, opera di Giovanni Maria Butteri (1540-1606), allievo del Bronzino. Si tratta della tavola con una drammatica Crocifissione (1580), parte posteriore della perduta pala dell’altare maggiore, raffigurante probabilmente una Resurrezione, e della tela con La Madonna in trono col Bambino, San Giovannino, San Lorenzo e Sant’Andrea Apostolo, commissionata nel 1586 dall’abate don Andrea da Gaiole.
Molto interessante è la tela di Orazio Fidani (1606-1656) raffigurante la Madonna e il Bambino che appaiono a San Francesco, donata al monastero nel 1659 da Lorenzo Niccolai di Prato per uno degli altari laterali (ancora oggi si trova sul secondo altare della navata sinistra).
Tra il Seicento e il Settecento don Vittorio Lapini da Firenze fu promotore di un vasto rifacimento della chiesa in stile barocco: sono ancora visibili gli stalli lignei del coro e gli altari laterali.
Collegata alla chiesa è la sacrestia, realizzata intorno al 1736-1738, nella quale si trova un bel mobile da sacrestia in noce, capolavoro di intaglio rococò opera di artisti locali.
IL CHIOSTRO
Usciti dalla chiesa, entriamo all’interno del corpo del monastero, che ci accoglie con un loggiato murato e un armonioso chiostro. Da qui si apre la stanza per la frollatura della lana e l’ingresso al museo.
L’intero complesso architettonico del monastero si articola intorno al chiostro rinascimentale, realizzato nella seconda metà del Quattrocento: qui si aprivano gli ambienti più importanti della struttura, come la sala capitolare, la stanza del camarlingo che riscuoteva i fitti, il “salotto” di accesso al refettorio monastico, la residenza dell’abate.
Il piano superiore si compone di una loggia architravata su colonnine in arenaria, che, come per il piano inferiore, si presenta oggi tamponata da un intervento settecentesco. In questa parte del monastero erano situati i dormitori dei monaci, le camere del priore (ossia del monaco addetto alla cura pastorale della borgata) e i magazzini al riparo dalle frequenti inondazioni del Bisenzio.
I loggiati inferiore e superiore sono decorati da affreschi con effetto “trompe l’oeil” e grandi stemmi celebrativi di abati di Vaiano (1763).
IL MUSEO
Dal chiostro rinascimentale, in attesa dell’apertura del museo, entriamo in una stanza all’interno della quale sono ancora visibili le vasche per la frollatura della lana, usate dai monaci per la propria attività commerciale.
Franco, il custode del museo, ci accoglie con entusiasmo e ci accompagna in una parte del percorso, lasciandoci il tempo di scoprire da soli reperti e opere d’arte e intervenendo per raccontarci curiosità e aneddoti interessanti.
Ingresso e cucina
Appena entrati nel piccolo museo ci troviamo in una stanza completamente affrescata: le pareti presentano decorazioni del Settecento, realizzate in onore dell’importante navigatore Filippo Sassetti, che era stato proprietario della vicina Villa del Mulinaccio e commerciava pepe a Livorno. I dipinti, infatti, raffigurano un porto e scene marittime.
Da qui possiamo accedere ad un’unica sala che si apre sulla destra: l’antica cucina, le cui pareti e il soffitto sono ancora anneriti dai fumi del camino, mentre su un muro possiamo vedere le tubature attraverso le quali arrivava acqua corrente all’interno del monastero.
Spiccano in un lato della stanza due manichini con riproduzioni fatte a mano di centurioni romani: sono opera di un appassionato locale che le ha donate in vista della possibilità dell’apertura di un museo archeologico ad integrazione di quello attuale. Franco ci spiega che sono in attesa di trovare i finanziamenti, ma la nuova ala del museo dovrebbe comporsi di tre stanze e riunire i numerosi reperti romani rinvenuti nella zona.
Sala dei reperti archeologici
La prima sala in cui entriamo a sinistra è una delle più grandi del museo e costituiva un unico ambiente con la sala attigua: era, infatti, il refettorio del monastero. Una conferma di questo uso è offerta dall’iscrizione sopra la porta d’ingresso: “Venite prendete e mangiate in pace e amore ciò che è imbandito per voi”. La separazione in due sale avvenne probabilmente quando la comunità monastica si era ormai ridotta di numero o, addirittura, dopo la soppressione del monastero.
La decorazione parietale è integra solo su un lato, ma ben visibile anche sulle altre pareti: motivi geometrici, vegetali, di foglie e frutta, e un gradevole fondo verde pastello.
All’interno delle vetrine di questa prima sala sono esposti i reperti archeologici rinvenuti durante le campagne di scavo portate avanti nei recenti interventi di restauro. In particolare, notiamo alcuni oggetti da mensa in ceramica e maiolica; molto bello è l’orciolo riportante lo stemma mediceo. Cattura la nostra attenzione la lastra in pietra arenaria, datata 1236 e appartenente ad una fontana che si trovava sul muro esterno della Badia.
Al centro della sala notiamo tre grandi libri chiusi, che il custode accorre ad aprirci e a spiegarci: si tratta di volumi con partiture musicali, due in carta e uno in carta di cotone, molto pregiata, con un bel frontespizio curato a mano dal priore.
Sala dei paramenti liturgici
Ci spostiamo ora nella sala ottenuta costruendo un tramezzo che divide il refettorio monastico; un graffito riporta le parole e l’invito dell’apostolo Paolo a considerare nel giusto conto solo ciò che è davvero necessario per la salvezza. Le medesime parole o altre simili tratte dalle Sacre Scritture erano usuali sulle porte di accesso ai refettori, ad esempio nel monastero di Vallombrosa.
L’intervento della fine del XVIII-inizi del XIX secolo dette a questo ambiente un aggraziato aspetto unitario con le aperture abbellite da sopraporte dipinte: decorata è anche la strombatura dell’ampia finestra. Il controsoffitto a stuoia di canna intonacata nasconde il soffitto ligneo quattrocentesco, naturale continuazione di quello della sala precedente
L’allestimento ripropone i paramenti liturgici usati durante le cerimonie monastiche, che si svolgevano con caratteri di particolare solennità: dalla cassettina per reliquie del XIII-XIV secolo all’elegante tabernacolo quattrocentesco.
Sale degli oggetti per le processioni
Dalla sala successiva aveva inizio l’appartamento dell’abate, che si componeva di quattro ambienti, una cappella e uno scrittoio. Il caminetto del 1768 riscaldava il piccolo ambiente e sono ancora visibili i resti della decorazione settecentesca.
L’allestimento di questa sala evoca, attraverso l’esposizione di oggetti della Compagnia di Vaiano, le funzioni svolte da questa associazione laicale; sono presenti numerosi reperti religiosi, come l’altare ligneo addobbato, il crocifisso processionale, il calice donato dalla Congrega del Rosario.
La stanza in cui entriamo era l’antica camera da letto dell’abate, dalla quale egli accedeva a numerosi ambienti, tra cui la cappella e lo scrittoio o studiolo. Spicca al centro della sala la grande macchina processionale con la statua della Vergine, che fa riferimento alla processione che a Vaiano si svolgeva la seconda domenica di ottobre in venerazione della Madonna del Rosario. Questo ambiente museale è dedicato al tema della religiosità popolare e della processione: vediamo, ad esempio, un tabernacolo portatile, medaglie devozionali, reliquie dei santi.
Cappella
La Cappella era il luogo in cui l’abate del monastero celebrava privatamente la sua Messa quotidiana; fu realizzata nel 1756 e solennemente consacrata al tempo dell’abate don Massimiliano Frescel, studioso delle antiche pergamene vallombrosane: in quell’anno, infatti, tutto il “quartiere dell’abate” fu sottoposto ad una complessiva opera di rifacimento e abbellimento. La cappella fu nuovamente decorata nel 1776 con stucchi e pitture murali imitanti prospettive architettoniche.
Di particolare interesse e rarità è il dipinto, olio su tela, della Madonna col Bambino di un ignoto artista di Scuola Toscana della prima metà del XVIII sec. Ci colpiscono i tratti mediorientali della donna, quasi fosse palestinese; il bambino non è biondo con gli occhi azzurri ma più scuro, con la pelle olivastra. Questa resa più realistica delle origini della Madonna e di Gesù conferisce all’opera un carattere di particolare rarità e valore.
Scrittoio
Di dimensioni simili alla cappella è l’attiguo scrittoio, le cui pareti sono decorate da paesaggi immaginari dai toni pastello, mentre la volticciola a padiglione è abbellita da uno sfondato di chiaro gusto settecentesco. L’intervento, come ci testimoniano i documenti della Badia, fu realizzato nel 1782 dal fiorentino Giovanni Poli.
Nello scrittoio è ricreato in maniera volutamente sommaria l’arredamento che era costituito da una scrivania e da uno scaffale, su cui trovava posto una piccola biblioteca personale.
Di rilievo l’esposizione di alcuni volumi cinquecenteschi delle opere di Agnolo Firenzuola (1493-1543) abate commendatario della Badia di Vaiano, tra cui la prima edizione delle Prose (1548) con le novelle della Prima veste dei discorsi degli animali, rifacimento del Panciatantra indiano (un’antica raccolta di favole), che lo scrittore ambienta nei luoghi della val di Bisenzio, e la traduzione dell’Asino d’Oro di Apuleio.
Agnolo Firenzuola visse solo due anni a Vaiano, ma vi scrisse ben quattro libri. Amante della bella vita e degli agi, egli era vissuto a Roma e da lì aveva pubblicato un volume sulle donne più belle e più brutte di Firenze. Costretto a tornare in Toscana perché malato di sifilide, i fiorentini non vollero accoglierlo nella loro città e così i Medici lo inviarono a Prato, dove divenne abate. La Badia di Vaiano è, infatti, adesso inserita nel circuito della Case della Memoria o Case dei Personaggi Illustri, proprio perché qui visse e morì Agnolo Firenzuola.
Sala dei quadri
La stanza di maggiori dimensioni che conclude il nostro percorso museale è occupata dalle opere d’arte seicentesche provenienti dalle pievi intorno e qui conservate per evitare che vengano disperse.
Particolarmente bella è la Madonna del Rosario con Bambino tra i Santi Andrea, Bartolomeo, Lorenzo, Pietro, Donato, Domenico, Rocco e Biagio, dipinta su tavola da Vincenzo Dori (1594) e qui collocata dalla Chiesa dei Santi Andrea e Donato nel vicino borgo di Savignano.
Più antico è il tabernacolo eucaristico di un ignoto artigiano toscano, in pietra arenaria scolpita a bassorilievo nel 1474.
Quasi completamente soli abbiamo potuto scoprire una delle perle nascoste della Val di Bisenzio, una vera chicca che la città di Vaiano custodisce e che pochi conoscono, nonostante la grande importanza storica e artistica di questo luogo. Ringraziamo di cuore il custode Franco per averci condotti nella scoperta del Museo e averci contagiato con la sua curiosità appassionata.
INFORMAZIONI
- Prato Turismo: https://www.pratoturismo.it/it/cosa/luoghi-da-vedere/comune/vaiano/badia-di-san-salvatore-e-museo
- Rete dei Musei di Prato: https://www.retemuseidiprato.it/museo/museo-della-badia-di-vaiano/
- Case della Memoria: https://www.casedellamemoria.it/it/gli-eventi/4374-proseguono-gli-eventi-alla-badia-di-vaiano.html
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