Visita guidata alla Pieve di Santa Maria Assunta
Giovedì 4 agosto 2022
Cavalese è una delle città più attive della Val di Fiemme, ricca di storia e di arte, cuore pulsante di molte attività, eventi ed iniziative. Nonostante spesso frequentiamo le sue strade e a volte ci fermiamo ad osservare i suoi storici edifici e monumenti, di rado abbiamo avuto l’occasione per approfondirne la storia, entrare all’interno degli edifici e scoprire le maestranze che hanno contribuito al loro splendido aspetto. Avendo già visitato il Palazzo della Magnifica Comunità di Fiemme ed esplorato alcune piacevoli passeggiate nella zona, abbiamo deciso di dedicarci ad uno dei luoghi più emblematici e significativi di Cavalese. Grazie ad una visita guidata organizzata dal Museo del Palazzo della Magnifica Comunità, abbiamo aderito ad una visita guidata (a soli 5,00 euro) della Pieve di Santa Maria Assunta, condotta dal preparatissimo e appassionato Dr. Roberto Daprà.
La Pieve di Santa Maria Assunta sorge all’interno di un ombroso parco, di fianco ad un altro edificio, il santuario mariano della Madonna Addolorata, che domina la sua parte di piazza con l’aspetto neoclassico e la decorazione monocroma di Vittorio Melchiori (1940).
LA STORIA
La storia della chiesa oggetto del nostro interesse affonda le proprie radici nel Medioevo: essa è infatti nominata negli archivi già nel XII secolo. All’epoca le sue dimensioni erano considerevolmente minori: si trattava di una costruzione ad aula, senza abside. Nel corso del tempo, però, si ampliò con la presenza di tre navate intorno alla metà del Quattrocento e soprattutto con le modifiche seicentesche. All’inizio del XVII secolo, infatti, furono aggiunti un’altra navata sul fianco nord della chiesa, l’atrio e la cappella del Carmine accanto al campanile. Quest’ultimo era originariamente in legno, ma, a causa della sua pericolosità per gli incendi, fu trasformato in pietra, in uno stile gotico, mentre la parte culminante è di impronta più neoclassica, sul progetto ottocentesco di Giuseppe Alberti.
È paradossale notare come l’aspetto odierno è ben differente da quello che la chiesa presentava in passato. Lo dobbiamo ad alcuni restauri svolti in seguito ad un incendio che divampò nel 2003 a causa della negligenza di un operaio. La torre del campanile era imbrigliata di ponteggi e un muratore, dopo aver fumato, lanciò il mozzicone al vento, che condusse la fiamma sul tetto in legno del Settecento e diede inizio all’incendio. I Vigili del Fuoco, accorsi immediatamente, dovettero contrastare il fuoco facendo al contempo fronte alla carenza d’acqua… Ciò si rivelò, incredibilmente, una vera fortuna! Indagini successive, infatti, mostrarono che la struttura portante della chiesa era danneggiata dall’usura dei secoli e un getto d’acqua troppo potente ne avrebbe provocato il crollo. Da tali scoperte iniziò il restauro completo della chiesa, che ha portato ad importanti scoperte storico-artistiche.
La pieve è stata riaperta al pubblico il giorno 8 ottobre 2011 e da allora viene utilizzata prevalentemente per le celebrazioni più importanti, mentre le messe quotidiane sono officiate nella vicina Chiesa di San Vigilio.
L’ESTERNO
Riparandoci gli occhi dai raggi del sole e sollevando lo sguardo, ammiriamo la facciata a capanna della pieve, con i suoi ripidi spioventi e l’aggiunta seicentesca dell’atrio a tre aperture. Sull’intonaco bianco spiccano alcuni affreschi: quelli laterali al grande arco, che ci troviamo di fronte, sono del Seicento e forse opera di Domenico Bonora, autore anche delle lunette, mentre don Giuseppe Alberti dipinse le altre decorazioni. La vela della facciata ospita l’immagine della Vergine assunta in cielo, opera di un artista locale, don Antonio Longo da Varena; si racconta che egli eseguì il dipinto in una sola giornata lavorativa e nel cartiglio che scorgiamo ai piedi della Madonna leggiamo come il motivo della realizzazione fu un ex voto di aiuto contro le dominazioni franco-bavaresi.
Ci avviciniamo all’atrio e calpestiamo il pavimento in marmo, mentre volgiamo lo sguardo al soffitto in legno. Ciò che cattura subito la nostra attenzione, però, è l’imponente portale fiancheggiato da due lapidi funerarie; oltre di esse alcuni dipinti picchiettati sono tornati oggi visibili grazie all’intervento di restauro, che ha voluto mantenere inalterato il loro aspetto, non reintegrando le lacune della pittura.
Le lapidi sono memorie funebri di due personaggi importanti nella Val di Fiemme: Camillo Bernardi ha dipinto lo scorso secolo quella dedicata a Giovanni Giacomo Giovanelli, fondatore del primo ospedale pubblico della valle, ubicato a Tesero. L’altra lapide, opera ottocentesca di don Antonio Longo, porta la memoria dell’arciprete Giovanni Francesco Riccabona.
Dedichiamo adesso la nostra attenzione al magnifico portale, in pietra e sormontato da una mandorla spezzata, segno che l’oggetto fu qui installato quale riadattamento da un altro edificio. Ai lati sorvegliano l’ingresso i due santi guardiani, San Paolo con la spada e San Pietro con la chiave in spalla; sopra di essi osserviamo santi e vescovi, mentre la cornice interna è sapientemente scolpita con figure di minori dimensioni. Esse rappresentano delle miniature delle loro sorelle più grandi! Se ci accostiamo a San Paolino, notiamo che si tratta di una reintegrazione, necessaria dopo un atto di vandalismo…
La mandorla sopra il portale è occupata da tre angeli con un cartiglio che recita “Gloria in excelsis deo” e, sotto di loro, Dio Padre invia il Cristo verso la Vergine. Questo motivo iconografico è molto raro perché fu bandito dal Concilio di Trento nel Cinquecento. Il portale, infatti, è gotico e fu scolpito dopo la metà del Quattrocento: la data precisa è indicata da due scudetti portati da angeli; sul primo leggiamo la lettera M, mentre sul secondo decodifichiamo il numero “70”. Possiamo, quindi, intuire la parte mancante: 1470. Infine, avvicinandoci ancora, uno sguardo attento può notare tracce di colore, come quella in ocra rossa su San Pietro (lo stesso pigmento che era utilizzato dai pastori per lasciare le loro scritte sulla roccia! Qui trovate il nostro articolo dedicato, con i consigli per una bella passeggiata).
L’INTERNO
Entriamo e chiudiamo il portone alle nostre spalle: nel grande spazio delle tre navate regna il silenzio e un clima di spirituale sospensione… Ci guardiamo intorno cogliendo alcuni elementi dello stile gotico, mentre l’aula centrale, spaziosa e alta, assorbe la nostra attenzione e le due navatelle laterali la spalleggiano con i loro inusuali archi spezzati, con una giuntura in legno intonacato al posto della chiave di volta (una struttura utile perché adatta alle variazioni dovute all’umidità, impedendo eventuali rotture). Adocchiamo anche l’ultima navata, aggiunta nel Seicento e che rimane un po’ in penombra alla nostra sinistra.
Lo spazio è dominato da sei colonne cilindriche in pietra, che, procedendo verso l’abside, sono sostituite da quattro pilastri di forma ottagonale: il perimetro da essi delimitato è quello della chiesa primigenia.
Guardiamo verso l’alto e una delle prime decorazioni che distinguiamo con facilità è una chiave di volta con un bottone, sopra il quale capeggiano quattro stemmi: vescovile; della diocesi di Trento; del principe Giorgio di Liechtenstein (uno scudo con bastone a nodi) del Quattrocento; della famiglia Firmian. La presenza di tali stemmi ci fornisce un’informazione importante su chi ha commissionato i lavori di restauro della pieve.
Osservando il soffitto non possiamo non rimanere incantati dalla delicata decorazione pittorica delle volte e delle vele, emersa con gli ultimi restauri, poiché i muri erano stati completamente intonacati di bianco alla fine dell’Ottocento, quando, per motivi di igiene, erano soliti dare una mano di calce. A quando risalgono questi dipinti? La datazione è avvenuta grazie alla presenza di due stemmi affrescati, uno rinvenuto per intero, l’altro solo per metà. Il primo apparteneva a Ferdinando I d’Austria (1556-64), mentre l’altro a Cristoforo Madruzzo, principe vescovo a metà del Cinquecento. Da ciò desumiamo che la decorazione fu dipinta proprio a metà del XVI secolo. Il motivo scelto è piuttosto semplice, floreale con profeti e sibille, che si collegano con coerenza al tema dell’annunciazione scolpito sul portale. Fiori e piante furono dipinti con degli stampini, mentre le figure sono opera di artisti locali. Sarebbe interessante studiare i tipi di erbe raffigurate, poiché ciascuna ha un suo significato preciso…
Gli affreschi più antichi della pieve sono quelli emersi in fondo alle due navate laterali. Il dipinto di destra fu scoperto negli anni Cinquanta, spostando un altare barocco; nel riquadro superiore è raffigurato il Battista con il suo tradizionale manto di pelli di cammello, affiancato da Santa Apollonia, riportante l’attributo del martirio (i denti strappati), e da Santa Barbara (la torre), della quale colpisce la bella veste frastagliata in stile gotico. La pittura, datata intorno al 1410, è danneggiata a causa dell’aggiunta dell’arco santo in pietra, che delimita l’abside. Di poco successivo è l’affresco sottostante, che narra due episodi della vita di Sant’Agata, ovvero la disputa con il Console di Sicilia e il martirio del taglio del seno.
Anche l’affresco alla fine della navata di sinistra fu scoperto dietro un altare barocco ed è un’opera del 1470/80 la cui cornice coincide con il limite imposto dall’arco sacro: è, perciò, successivo ad esso. Il dipinto rappresenta il papa San Silvestro con San Lorenzo e la sua graticola e Santo Stefano con la palma del martirio, il sasso e l’ematoma sulla testa a causa della sua lapidazione.
Accanto a questo affresco si apre uno spazio ampio e luminoso: la Cappella del Rosario, che sostituì quella di Santa Maria e che fu edificata con il contributo delle famiglie locali. Rimaniamo affascinati dalla ricchezza della decorazione… Le tele all’interno del tamburo sono di varie fogge, opere di artisti locali, così come anche gli stucchi bianchi, mentre la cupola senza lanterna, completamente decorata, è ispirata a quella realizzata a Trento da Martino Teofilo Polacco. L’affresco raffigura la Madonna Assunta verso la gloria celeste, accolta dal padre, dal figlio e dallo Spirito Santo sotto forma di colomba. I colori sono davvero splendidi! L’altare di marmo, realizzato negli anni Settanta del Settecento, proviene dalla bottega di Cristoforo Benedetti, acquistato di seconda mano per farne l’altare maggiore, anche se occupò quella posizione per pochi anni e fu presto trasferito nella cappella. Lateralmente i due santi in legno dipinto di bianco, Pietro e Paolo, sono opera di Giampiero Zorzi.
Un’altra opera che non può sfuggire per la sua grandezza è l’affresco a lato della cappella, riportante un tema usuale dopo la battaglia di Lepanto: la Madonna del Rosario. La Vergine e il bambino distribuiscono rosari a San Domenico e a Santa Caterina; dietro di essi, prendono posto i membri della Confraternita del Rosario. La targa ci indica la data 1587 e il motto in latino invita i cristiani ad offrire alla Madonna rose rosse e fiori… La cornice, infatti, è composta proprio da entrambi. All’interno dei grani, che compongono la seconda cornice, sono raffigurati i misteri legati alla vita della Vergine e di Gesù. La scena centrale è accompagnata dalla presenza di Dio Padre e dall’episodio dell’incoronazione della Madonna.
L’affresco è ben conservato ed è stato scoperto nel 2010, alla fine dei lavori di restauro. Sopra di esso, infatti, vi era un dipinto, che è stato accuratamente staccato e posizionato a lato della navata destra. La forma ce lo rende facile da identificare: si tratta di un grande dipinto della battaglia di Lepanto, il cui autore rimane per adesso ignoto ma proveniente dall’entroterra veneto, come si può desumere dai colori utilizzati e dal soggetto marino. In basso infuria la battaglia sovrastata dagli angeli e al centro uno di essi, con lo stemma della famiglia Fimian, prepara tre frecce contro i nemici.
Il presbiterio si presenta come uno spazio ancora diverso rispetto ai precedenti. Esso è in stile neoclassico e fu ricavato abbattendo l’abside precedente; Cristoforo Unterperger, settecentesco pittore locale, progettò le colonne in gesso dipinte in finto marmo, mentre suo figlio, Giuseppe, realizzò l’opera circolare e quella a sinistra, purtroppo rovinata dalla luce solare e raffigurante Gesù con gli evangelisti. Il dipinto di destra, invece, è del 1674, realizzato dall’Alberti mentre ancora studiava a Venezia, di cui sono chiara influenza i colori squillanti; in questo quadro Gesù comunica l’eucarestia agli apostoli.
Tuttavia, ciò che veramente sorprende del presbiterio è la decorazione sopra l’arco santo, ultima scoperta del restauro. Addirittura fu l’elettricista l’autore del rinvenimento! Incaricato dell’impianto luci, stava trapanando il muro quando ha visto cadere della polvere colorata… Interrotto il lavoro, i restauratori hanno portato alla luce una decorazione riportante la parabola delle Dieci Vergini, raccontata all’interno del Vangelo di Matteo e che narra di come le giovani sagge furono accolte al ricevimento perché avevano portato con sé l’olio per tenere le lucerne accese ed avevano potuto attendere. Chiudono la fila di raffigurazioni delle donne due tipi di sacrifici, quello di Abele sotto forma di agnello e quello di Caino, sgradito a Dio.
Dal presbiterio abbiamo un’ottima visuale sull’organo, realizzato a Merano e caratterizzato da un migliaio di canne; la balconata è decorata in stile rococò con elementi musicali e fiori.
Velocemente percorriamo le navate laterali, dove sono affisse altre pale con figure sacre come la Madonna dell’Aiuto e Sant’Antonio. Ci soffermiamo sulla Cappella del Carmine, presente già all’inizio del Cinquecento e dedicata ai quattordici santi ausiliatori; nel Seicento lo spazio fu ampliato e la pala che lo ornava fu spostata lungo la navata sinistra; la lastra tombale centrale appartiene alla famiglia Firmian. Questo luogo è ora usato come battistero… e non a caso: il dipinto che vi possiamo ammirare raffigura il Battista che versa l’acqua santa sul capo di Gesù. Si tratta di un’opera di Antonio Longo (1783), basata su un bozzetto che possiamo ammirare presso la sua dimora a Varena e che ha la propria gemella nella chiesa di Vigo di Fassa.
La pieve di Cavalese conta due sagrestie… La nostra guida ci fa entrare anche in quella minore, usata come ripostiglio, ma dove riusciamo a identificare due affreschi: in uno distinguiamo uno strano, enorme, piede immerso nell’acqua tra gamberi di fiume, radici di alberi, pesci e piccole persone rozze di montagna. Che strano! Il suo mistero lo scopriremo presto… L’altro affresco, invece, è più chiaro: un Cristo appeso alla croce, flagellato e grondante sangue.
Passiamo ora alla sagrestia maggiore, protetta da una porta quattrocentesca in ferro borchiato. La gemella doveva proteggere l’altra sagrestia, ma fu donata a Gian Pietro Muratori, celebre a Cavalese per la riscoperta biblioteca settecentesca da lui realizzata. La porta era infatti rimasta nascosta da un armadio, lì posto per proteggere i preziosi volumi durante le due guerre mondiali…
Attraversata la sagrestia, la nostra guida ci comunica una piacevolissima sorpresa: possiamo salire fino al sottotetto, completamente restaurato e identico all’originale (tranne per il legno, che è stato importato dall’est)! Una stretta e ripida scala e una porta minuscola ci conducono in questo ambiente magico… Siamo proprio sotto il tetto della chiesa! La costruzione è a chiglia di nave ribaltata con travi ed elementi in legno incastrati tra loro, senza l’uso di chiodi. È emozionante distinguere le varie parti dell’edificio: la cupola della cappella, il punto dell’arco santo, l’apertura circolare in facciata… Bellissimo e sospeso, potremmo trascorrere ore intere in questo luogo dove domina il colore chiaro, ambrato, del legno, e quello bianco dell’intonaco del soffitto della chiesa. Purtroppo, dobbiamo concludere la nostra visita e siamo costretti a scendere le scale, tra i muri decorati con le scritte dei nomi delle campane. Sarebbe bello poter continuare a salire, raggiungendo la cima del campanile, ma al momento non è agibile…
Eccoci di nuovo all’aria aperta: siamo sul lato della pieve che guarda l’edificio neoclassico accanto. Poco lontano dal campanile troviamo il secondo ingresso della chiesa, decorato con due sottili colonne e un portale con la trabeazione decorata da un motivo di pesci, simbolo di traghettatori di anime. Non può mancare un’immagine della Madonna, al cui fianco si trova Santa Caterina. I dipinti ornamentali, in prevalenza grottesche, sono stati attribuiti alla bottega del pittore vicentino Marcello Fogolino, che operò anche nel Palazzo della Magnifica Comunità di Cavalese. In realtà, probabilmente furono realizzati un secolo più tardi, nel Cinquecento.
Giriamo intorno alla chiesa e concludiamo la visita con uno dei misteri che ci aveva irretiti: di chi è l’enorme piede dipinto nella sagrestia minore? La risposta ce la troviamo davanti agli occhi non appena passiamo oltre la Cappella del Rosario. Sulla parete esterna della pieve, infatti, si erge un gigantesco San Cristoforo, noto con il ruolo di traghettatore. Alla metà del Cinquecento fu aggiunta la sagrestia e la sua figura fu così tagliata; il dipinto è di un secolo precedente, attribuito ad un pittore vagante, che frequentò probabilmente la bottega di Leonardo da Bressanone: lo si desume dalla realizzazione della veste, bordata di pietre preziose.
San Cristoforo era effettivamente un gigante e il suo compito era quello di aiutare gli uomini ad attraversare il fiume; secondo la tradizione, un giorno arrivò un bambino e lui se lo mise in spalla, aiutandosi nel cammino tra le acque con un albero, utile a sondare il terreno. Il peso del piccolo viaggiatore, però, divenne sempre maggiore e San Cristoforo riuscì a stento a raggiungere la riva. Alla sua richiesta di spiegazioni, il bambino rivelò di essere in realtà il Cristo: San Cristoforo aveva portato il peso di tutta l’umanità sulla propria spalla. A tale rivelazione l’albero fiorì, proprio come è rappresentato in questo affresco, con la chioma tornata folta. Il santo era anche il protettore dalle sfortune della giornata e per questo motivo era solitamente dipinto all’esterno delle chiese in dimensioni considerevoli; tutti i lavoratori, così, potevano vederlo e qualcuno di essi lo toccava o prendeva un piccolo pezzo per mangiarselo e assicurarsi una maggiore protezione nelle ore a seguire.
Un altro enorme San Cristoforo è quello affrescato a Tesero, persino più grande di questo e celebre per essere il più antico della valle (1370), mentre a Castello due raffigurazioni del gigante sono dipinte su una casa privata e a lato della chiesa.
Sotto lo sguardo attento del santo, si conclude la nostra visita alla pieve di Cavalese, che ci ha emozionati e intrigati… Il parco ci accoglie con la sua frescura e possiamo scegliere se passeggiare qui, intraprendere qualche camminata alla scoperta della città e dei dintorni oppure fermarci negli storici negozi del centro.
INFORMAZIONI
- Palazzo della Magnifica Comunità di Fiemme: http://www.palazzomagnifica.eu/
- Visit Fiemme: https://www.visitfiemme.it/it/estate
- Comune di Cavalese: https://www.visittrentino.info/it/guida/da-vedere/chiese-santuari/chiesa-di-s.maria-assunta-cavalese_md_2443
LEGGI ANCHE …