Storia e paesaggio del Valdarno nel Museo delle Miniere e del Territorio
Sabato 17 febbraio 2024
Il Valdarno è una zona che stiamo lentamente imparando a conoscere: ci siamo avventurati qui quando abbiamo visitato il borgo di Castelfranco di Sopra e passeggiato tra le iconiche Balze; poi siamo tornati a San Giovanni Valdarno per la mostra dedicata al pittore cinquecentesco Giovanni da San Giovanni… Adesso abbiamo approfondito dei nuovi aspetti: lo sfruttamento minerario, la relazione con il paesaggio, gli eccidi durante la Seconda guerra mondiale. Di tutto questo parla il Museo MINE – Museo delle Miniere e del Territorio di Cavriglia.
Lasciamo l’auto nel comodo parcheggio in discesa, poco prima dell’inizio del paese abbandonato di Castelnuovo dei Sabbioni (nel comune di Cavriglia, in provincia di Arezzo) e dove possiamo già avere un’idea dello stato di rovina delle case, su cui svetta la chiesa perfettamente restaurata e il moderno complesso del Museo MINE – Museo delle Miniere e del Territorio di Cavriglia.
Saliamo verso di esso, notando alcune targhe e un monumento che commemorano l’eccidio avvenuto durante la Seconda guerra mondiale. Esso è ricordato anche da un tabernacolo sulla cui architrave troviamo la scritta che recita “I massacrati di ieri sono gli immortali di oggi”.
La salita lungo la strada principale, da cui un tempo il borgo era attraversato, ci conduce nell’ampio spiazzo di fronte al museo, che ci accoglie con la sua doppia veste, tra architettura del passato e stile moderno.
STORIA DELLE MINIERE
Il museo ha aperto le proprie porte nel 2012, con l’intento di raccontare non tanto la storia delle miniere del territorio, ma soprattutto il rapporto tra le trasformazioni economiche/industriali e il paesaggio, che è stato profondamente modificato in conseguenza di esse.
Innanzitutto, è importante chiarire che la presenza delle miniere si inserisce all’interno di dinamiche non solo locali, ma anche europee. Dal 1870 si iniziò ad estrarre in modo strutturato la lignite, con la creazione di una vera e propria società, in stretta relazione con il polo siderurgico del Valdarno e con un’idea di sviluppo industriale europeo. Non a caso, fu Vilfredo Pareto il presidente delle miniere, un uomo celebre e di importanza internazionale.
Alla fine dell’Ottocento iniziarono ad importare capitali europei, sebbene l’impatto di scavo e l’uso del combustibile fossero locali e, al massimo, di livello regionale. Anche la manodopera era locale e andò a trasformare profondamente il territorio: qui, infatti, l’impianto era mezzadrile. Dal Quattrocento il Valdarno era considerato il granaio di Firenze e dipendeva da Santa Maria Nuova e dall’Ospedale degli Innocenti. Per secoli l’area continuò ad essere amministrata da grandi ordini religiosi, detentori di forti poteri sul territorio.
Con l’avvento delle miniere, la dimensione agricola e mezzadrile scomparve rapidamente, insieme alla tradizione secolare: gli ordini religiosi divennero promotori dell’estrazione della lignite. Perciò i mezzadri, che erano contadini, divennero velocemente minatori. Mancavano, tuttavia, i tecnici e gli ingegneri, che giunsero da fuori, da zone e paesi limitrofi, come Massa Marittima. La manodopera era locale e il lavoro salariato: ciò modificò profondamente la situazione economica del Valdarno.
Le miniere di lignite erano sotterranee, avevano dimensioni ridotte e vendevano a quella principale a Castelnuovo. Nella prima metà del Novecento vi era un elevato rischio di crolli e di incendi e abbiamo testimonianza di numerosi infortuni e diverse problematiche. Solo gli uomini lavoravano nelle gallerie, mentre donne e ragazzi erano impiegati in superficie, nei piazzali, negli uffici e negli impianti di vagliatura. Già a questo periodo risalgono le prime leghe di minatori che portarono avanti importanti battaglie per il miglioramento delle loro condizioni.
Durante la Prima guerra mondiale ben 5.000 persone lavoravano nelle miniere: assistiamo in questi anni al massimo sviluppo del settore, che poi entrò in crisi perché non vi era più la necessità di una grande produzione.
Nel periodo del fascismo, inoltre, i problemi aumentarono perché la zona vantava una tradizione anarchica e comunista: ciò provocò una forte migrazione per motivi sia di lavoro sia politici. La manodopera si spostò nel settore siderurgico francese e belga e numerosi lavoratori si unirono alla Resistenza europea. Tornati in patria dopo la fine del conflitto, portarono nei piccoli paesi del Valdarno idee di respiro europeo e una comunicazione internazionale.
Puntando all’autarchia e alla produzione energetica interna, il regime fascista concentrò i propri sforzi nel creare la prima industria chimica, sorta a San Giovanni Valdarno, e nel mettere in atto altre sperimentazioni per trasformare la lignite in combustibile, anche se con scarsissimi successi. A Figline fu tentato di produrre fertilizzante dagli azzotati, ma era un processo molto farraginoso perché consisteva nello scavare miniere, che sostituivano i campi, per produrre, attraverso un elaborato processo, dei prodotti da usare nei campi stessi!
A metà del Novecento il territorio del Valdarno si presentava profondamente mutato rispetto alla fine del secolo precedente: la zona era invasa da ferrovie e teleferiche.
Successivamente, il centro di Castelnuovo acquistò le piccole miniere dislocate; nel secondo dopoguerra, nel 1956, l’estrazione divenne a cielo aperto e nel 1961 la gestione passò da privata a pubblica. Col il cambio di proprietà delle miniere, la condizione di vita e di lavoro dei minatori migliorò notevolmente sia per quanto riguarda gli orari e i turni sia per le questioni relative alla sicurezza.
Numerose furono le conseguenze del cambiamento del tipo di estrazione: in primo luogo, non scavando più gallerie ma prelevando il materiale a partire dalla superficie, una sempre maggiore area fu interessata dalle miniere, prendendo il posto ai campi e soprattutto ad abitazione private e interi paesi. Si pose così il problema di dove la popolazione locale potesse andare a vivere… Dopo la Seconda guerra mondiale, infatti, la legge italiana destinò alcuni fondi alla ricostruzione e per il miglioramento delle condizioni di vita nelle periferie, ma ciò non comprendeva chi era stato espropriato per esigenze minerarie… Perciò nel Valdarno la popolazione perse parte delle proprie case e coloro che non lavoravano in miniera decisero di emigrare altrove. Solo a partire dal 1964, dopo impegnative lotte anche a livello politico, furono costruite nuove abitazioni, come quelle di Castelnuovo.
Dal 1956, quindi, cominciarono i problemi della sparizione dei paesi, a cui se ne aggiunse un altro: gli scavi a cielo aperto generavano enormi quantità di materiale di riporto, che aveva un volume maggiore di quando era compattato nel suolo. Inoltre, l’argilla copre la lignite e, quando viene scartata, non è più fertile. Le collinette artificiali create con il materiale di riporto dovevano essere rese nuovamente coltivabili e necessitavano di un continuo lavoro di drenaggio e controllo.
Le trasformazioni di questi anni operarono in due modi: da un lato, scavando, cominciarono a trovare resti molto antichi, come vigne e fiori fossili, altri minerali del passato. Dall’altro lato, però, veniva cancellato ciò che si trovava in superficie, come una chiesa carolingia e un castello duecentesco, aree poderali e ville… in sintesi, tutta la storia degli ultimi secoli!
Infine, le miniere a cielo aperto, realizzate con un metodo importato dalla Germania, comportarono un processo maggiormente meccanizzato, dove la manodopera richiesta era minore. Alcuni minatori, perciò, andarono a lavorare altrove, ad esempio a Firenze, trasferendosi o divenendo pendolari.
La lignite era utilizzata per produrre energia elettrica; negli scorsi decenni altre aziende arrivarono sul territorio. Il famoso architetto Morandi costruì le torri di raffreddamento della Centrale di Santa Barbara, ancora utilizzata dall’Enel e alimentata a gas. La lignite, infatti, iniziò a scarseggiare a partire dagli anni Settanta.
Il bacino di scavo di Castelnuovo venne abbandonato nel 1973 perché il giacimento di lignite si era esaurito; il borgo sovrastante fu abbandonato per il rischio di crollo, provocato dalla miniera che aveva eroso completamente la collina sottostante.
Adesso stiamo assistendo a importanti progetti di riqualificazione dell’area del Valdarno e ad uno specifico di recupero del paese di Castelnuovo, finanziato dal Ministero della Cultura e dal Comune. Oltre alla creazione del museo, infatti, le abitazioni circostanti saranno ristrutturate e destinate a spazi di cultura, botteghe di artigiani e case. Questi progetti di rigenerazione sono molto positivi, ma non dobbiamo dimenticare che sono altrettanto impattanti, proprio per le estese dimensioni.
Le problematiche della zona, però, non sono terminate: ne sono un esempio la precaria stabilità della collina Poggilupi, poco distante dall’autostrada e da San Giovanni Valdarno, e la creazione di un nuovo poggio artificiale, ricavato dagli scarti per la costruzione della TAV a Firenze…
L’ECCIDIO DI CASTELNUOVO
Durante la Seconda guerra mondiale, la zona del Valdarno fu interessata da numerosi eccidi: nel 1944 queste aree furono occupate dalle truppe nazifasciste, che trucidarono un totale di 192 vittime, attaccarono fortemente anche gli impianti delle miniere e fecero saltare la centrale di Castelnuovo, responsabile della produzione dell’energia elettrica destinata ad alimentare i mulini (il periodo era quello della mietitura, provocando danni economici ma anche fame). Perché un tale accanimento? Castelnuovo supportava i partigiani, molti dei quali erano minatori. Vi erano state alcune scaramucce, ma l’intento era pure di seminare il terrore.
L’eccidio di 74 persone, avvenuto a Castelnuovo la mattina del 4 luglio 1944, si inserisce in questo più ampio panorama. La popolazione non ne aveva il sentore, quando all’alba donne e bambini furono allontanati dalla città, gli uomini furono fucilati e le case bruciate.
Fondamentali per ricostruire quei terribili momenti sono le testimonianze dei sopravvissuti, al tempo bambini o giovanissimi ragazzi, come Aldo Dini, le cui parole sono impresse in una targa lungo la via principale che conduce al museo: i “cittadini che furono requisiti nella piazza dovettero dare tutti i documenti e gli oggetti personali. Il parroco, Don Ferrante Bagiardi, accortosi di quello che stava accadendo si recò nella piazza e parlò con il comandante tedesco per sapere cosa intendevano fare. Dopo aver saputo le loro intenzioni cercò di dare l’ultimo conforto alle vittime. Suor Maddalena Delfino venne nella piazza con le ostie per dare a tutti la Comunione. Le persone requisite furono costrette ad andare verso il muro della piazza e dopo essere state assolte dal parroco furono barbaramente mitragliate, uccise e poi bruciate.”
In ricordo del parroco don Ferrante è posta un’altra lapide, sulla facciata della chiesa, rappresentato come esempio di devozione verso Dio e verso l’Italia; egli fu ucciso insieme ai suoi compaesani.
Purtroppo, si tratta di una delle stragi italiane per cui non si è avuta giustizia e questo ha provocato scissioni interne, asprezze e accuse dentro il paese e in quelli limitrofi, interessati anch’essi da eccidi.
Le truppe nazifasciste avevano fatto saltare e creato danni alle miniere; dal 1944 al 1946 il sindaco reggente, Lusanna, iniziò a mettere ordine e far riprendere la produzione, che negli ultimi decenni è passata da un’alimentazione a lignite ad una a gas.
IL MUSEO
Appena entrati nel museo siamo accolti da un piccolo disimpegno, dove troviamo diverso materiale informativo, alcuni tavoli per i più piccoli e l’entrata, alla nostra destra, a quella che era un tempo la chiesa. La rampa di scale proprio davanti a noi, invece, conduce ai piani superiori ed è adornata da un dipinto, olio su tela, di un artista contemporaneo, Roberto Mini, Luci focali di vita (2002).
La scelta di esporre qui un’opera di questo pittore non è casuale. Roberto Mini, infatti, è originario di Craviglia e autore di un libro, Il mio grande viaggio: autobiografia di un artista (2021), che ripercorre la sua esistenza e dove spicca la storia del paese, delle miniere e della società locale. Nel 2018 una mostra di pittura dedicata alle sue creazioni è stata allestita proprio al museo MINE.
Lo spazio della Chiesa di San Donato, in origine l’edificio religioso di Castelnuovo dei Sabbioni, è stato completamente ristrutturato e ospita oggi un grande auditorium, fornito di attrezzature tecnologiche e di un sistema audio all’avanguardia. Qui sono organizzate mostre, convegni di diverso genere ed eventi.
La biglietteria si colloca al primo piano, dove inizia il museo vero e proprio, a partire da due temi fondamentali: il ciclo di trasformazione del paesaggio minerario e il significato di MINE, l’antico nome italiano di miniere, citato da Ludovico Ariosto nell’Orlando Furioso, come recita il grande pannello iniziale.
La sala adiacente alla biglietteria si concentra su Cavriglia nell’Ottocento; l’allestimento è sicuramente uno dei punti di forza del museo: in questo caso lo spazio è dominato al centro da una macchina ruotante, suddivisa in sezioni ospitanti oggetti che rimandano a diversi aspetti della vita tradizionale del paese (la campagna, il bosco, la religiosità, l’agricoltura, la casa, l’allevamento).
Sorveglia l’entrata una figura parlante, che rappresenta Primo Bigiandi (1900-1961), assunto a simbolo del museo, poiché è stato minatore, sindaco, deputato e parlamentare italiano. La parete alle sue spalle è interamente dedicata alla roccia protagonista dell’escavazione del territorio: la lignite.
Salendo al piano superiore, le sale si susseguono in un bellissimo allestimento: dalla ricostruzione e dalla planimetria della miniera, dove è possibile individuare gli ambienti principali, ad un lungo corridoio dove sono stati esposti i diversi oggetti di lavoro e di scavo, da una sala che spiega la stretta relazione tra miniera e territorio con la sua costruzione e ricostruzione ad una stanza in cui viene è possibile vedere un filmato di una trentina di minuti, dedicato alle testimonianze della strage nazifascista del 1944.
Da questa panoramica generale possiamo cogliere l’impronta del museo, che ha un carattere al tempo stesso storico e antropologico, esponendo oggetti donati da privati e provenienti dagli archivi dell’Enel, che ha anche fornito un repertorio di ben 5.000 immagini del territorio. Insieme coesistono e si integrano materiali e libri sulla storia del paesaggio e sulla guerra e gli eccidi, con una settantina di immagini della Liberazione. Una piccola parte di questa raccolta è ora esposta, mentre la maggioranza è conservata nell’archivio del Centro educativo e di documentazione.
Quest’ultimo si trova in un edificio separato dal resto del complesso museale e ha la funzione sia di custodire i principali documenti della storia delle miniere e del territorio con un archivio e una biblioteca tematica sia di offrire la possibilità a bambini e ragazzi di avvicinarsi a tali temi attraverso specifiche attività di laboratorio.
Possiamo vedere dall’esterno questa struttura, quando usciamo nello spazio all’aperto dietro al museo: qui una bella terrazza panoramica ci permette di ammirare il paesaggio circostante. Individuiamo così la Centrale di Santa Barbara con le sue mastodontiche torri di raffreddamento, il bacino idrico artificiale, il luogo dove sta sorgendo la collina con i materiali di scarto dagli scavi della TAV; dietro osserviamo le particolarissime Balze del Valdarno e il crinale del Pratomagno: tra i due si collocano i paesi di Loro Ciuffenna, Pian di Scò e Reggello.
La nostra visita si conclude con questo bel panorama, che corona perfettamente una mattinata trascorsa alla scoperta della storia poco conosciuta di un territorio così interessante e che comincia adesso ad essere giustamente valorizzato!
Un ultimo consiglio: se siete in gruppo (il biglietto è scontato), potete chiedere al personale per un’introduzione o una visita guidata… Ne vale davvero la pena perché le informazioni sono tantissime e così potrete godervi al meglio l’intero percorso museale!
INFORMAZIONI
- Museo MINE: https://www.minecavriglia.it/
- Tour guidato (podcast): https://izi.travel/it/5111-mine-museo-delle-miniere-e-del-territorio-di-cavriglia/it#/browse/a333752d-ae72-441e-8f68-024c0c4891bf/it
- Roberto Mini: https://www.arezzonotizie.it/eventi/cultura/il-mio-grande-viaggio-libro-roberto-mini.html
- Priamo Bigiandi: https://www.toscananovecento.it/wp-content/uploads/2014/03/GSBigiandiPriamo310305.pdf
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