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TABERNACOLI DELL’OLTRARNO FIORENTINO

Una passeggiata alla scoperta di piccole gemme nascoste

Domenica 11 settembre 2022

All’interno di una serie di iniziative dell’estate fiorentina, uno degli itinerari era quello piuttosto inusuale tra i tabernacoli dell’Oltrarno, organizzato dall’associazione Amici dei Musei e dei Monumenti Fiorentini e guidato da un giovane esperto, il Dr. Lorenzo Manzani, che fa parte del Comitato per il Decoro ed il Restauro dei Tabernacoli. Personalmente, cerco di non farmi sfuggire occasioni tanto ghiotte per scoprire angoli e opere della mia città; così, insieme a mia mamma, abbiamo trascorso una piacevolissima mattina tra cenni storici e artistici, con il naso all’insù per ammirare tabernacoli che, altrimenti, non avremmo mai notato… E che peccato sarebbe stato!


L’itinerario inizia in piazza San Felice, di fronte all’omonima chiesa, proprio nel cuore dell’Oltrarno. Il nome esteso di questo spazio sarebbe in realtà Piazza di San Felice in piazza, in cui il secondo termine “piazza” si riferiva al borgo che qui era nato e si era espanso, ovvero un agglomerato cittadino fuori dal centro, verso la periferia. Infatti, in corrispondenza dei borghi antichi c’erano le porte, dalle quali si usciva dalla città verso l’esterno. La specifica area dove ci troviamo racchiudeva le case verso piazza Pitti e via Mazzetta fino ad arrivare in via Romana, ricalcando il tracciato delle mura. L’antica Porta di Piazza era, quindi, proprio in piazza San Felice; essa fu poi abbattuta e ne venne costruita un’altra, a metà di via Romana, chiamata Porta di San Pietro Gattolini. Infine, alla metà del Trecento sorse quella che conosciamo e che persiste ancora adesso: Porta Romana.

Prima di notare il tabernacolo, la nostra attenzione viene calamitata dalla chiesa, sorta nel 1066; i benedettini provenienti da Modena ne presero possesso nel XII secolo e nel Trecento operarono una ristrutturazione in stile gotico. All’inizio del Quattrocento passò ai Camaldolesi, che a loro volta misero mano alla chiesa, grazie al committente Mariotto Lippi e affidando i lavori all’artista Michelozzo, al quale si devono l’abside e la facciata (1467 circa). Ultime proprietarie furono le monache domenicane, che nel corso dei secoli organizzarono qui il convento di San Pietro Martire; nel Settecento trasformarono una parte dei luoghi in un collegio femminile per le “mal maritate”, ovvero le donne il cui matrimonio era fallito e si trovavano in uno stato di povertà. Come gli altri edifici religiosi, anche questo subì le soppressioni napoleoniche e successivamente divenne una scuola materna ed elementare, che ancora oggi accoglie alcune classi di studenti.

Chiesa di San Felice in piazza.
Tabernacolo piazza San Felice, angolo via Romana.

Appagata la nostra curiosità sulla chiesa, possiamo concentrarci sul primo tabernacolo del nostro percorso: sul muro della canonica di San Felice notiamo il monumento ai cittadini di Santo Spirito per i caduti del quartiere durante la Prima guerra mondiale. Si tratta, quindi, di un’opera moderna: nel 1924 Luigi Luparini scolpì la Pietà in bronzo, che venne inserita in una struttura sormontata da un arco a tutto sesto e ornata di colonnine, in un’architettura in dialogo con la facciata della chiesa. La colomba simboleggia lo Spirito Santo, ma anche la pace.

Non si tratta di un tema nuovo nel quartiere di San Felice. Il primo ad introdurlo, infatti, fu addirittura Cosimo de’ Medici, che volle erigere una colonna nella piazza per celebrare la vittoria di Marciano Scanagallo contro Siena; purtroppo morì prima di vedere l’opera compiuta e non poté collocare una statua della pace, come aveva immaginato. All’inizio dell’Ottocento il Granduca Leopoldo II spostò la colonna in Palazzo Pitti, ma nemmeno un secolo dopo essa riprese il proprio posto nella piazza. La lapide che possiamo leggere ricorda la battaglia e l’intera storia della colonna, che faceva parte di un programma celebrativo, in dialogo con la colonna della giustizia in piazza Santa Trinita e quella della religione che avrebbe dovuto essere collocata in piazza San Marco, ma non venne mai realizzata (la colonna è adesso nei cortili dell’Accademia delle Belle Arti).

La piazza in cui ci troviamo è particolarmente importante anche per un altro motivo storico/artistico: i moti di annessioni del 1848 si svolsero anche tra queste vie e furono visti dalla finestra dalla poetessa Elizabeth Barrett Browning, che soggiornava nell’antico Palazzo Ridolfi, poi Casa Guidi.

Infine, non possiamo dimenticare che proprio da questa via entrarono gli Alleati per liberare Firenze nel 1944.

Piazza San Felice.
Tabernacolo piazza San Felice, angolo piazza de' Pitti.

Consapevoli di trovarci in un luogo che ha assistito allo svolgersi di grandi eventi storici, rivolgiamo la nostra attenzione al tabernacolo nella piazza: il dipinto raffigura l’Annunciazione, con l’arcangelo Gabriele, la cui mano è sollevata in segno di saluto verso Maria, colta mentre sta leggendo un libro e stupita per l’apparizione. A destra, alcuni cherubini assistono, mentre il cielo soprastante è tinto di ocra per sottolineare il carattere sacrale della scena. La cornice, in pietra serena, è stata purtroppo ritinteggiata arbitrariamente. Il tabernacolo fu realizzato da artisti della scuola fiorentina di inizio Seicento; in seguito, fu molto rimaneggiato ed è stato oggetto di un restauro nel Novecento. Non sappiamo se i committenti furono le monache di San Felice, la famiglia Ridolfi che aveva numerose proprietà nella zona (il ramo, infatti, che abitava qui era chiamato Ridolfi di Piazza) o qualcun altro. A tal proposito, è interessante notare come la famiglia possedeva il palazzo in angolo con via Mazzetta, ma ne venne espropriata a metà Quattrocento poiché aveva partecipato alla congiura dei Pucci contro i Medici. Presero possesso dell’abitazione i Guidi e da allora divenne Casa Guidi. Il tema dell’annunciazione potrebbe essere stato pensato in continuità con la Chiesa di San Felice, poiché qui avveniva la sacra rappresentazione annuale (ogni 25 marzo) dell’annunciazione con attori che rappresentavano pubblicamente le scene, in uno spettacolo per il popolo e con macchinari scenici, chiamati “ingegni” e progettati nientemeno che dal Brunelleschi. Nel 1439, in occasione del Concilio, assistettero alle rappresentazioni personaggi illustri del tempo. Inoltre, la piazza e le vie adiacenti sono luogo di passaggio per i pellegrini che da Porta Romana giungono alla sacra Madonna dell’Impruneta.

Casa Guidi.
Tabernacolo Borgo Tegolaio, angolo via Mazzetta.

Ci spostiamo lungo via Mazzetta: il nome deriva da “maggetta”, cioè “maggio”, che significa maggiore, qui scelto come ossimoro poiché si tratta di una strada minore. Leggiamo anche la lapide che ricorda il soggiorno di Elizabeth Barrett Browning, la quale, ispirata dai moti del ’48, compose qui la celebre opera Casa Guidi Windows.

Il prossimo tabernacolo è quello di San Filippo Neri di Firenze, personaggio del Quattrocento con una carriera ecclesiastica a Roma. In seguito alla sua canonizzazione e santificazione, i luoghi da lui frequentati divennero oggetto di venerazioni. Qui ci troviamo presso la casa della sua nutrice, come indicato dall’iscrizione. Il tabernacolo fu realizzato nel Settecento da Francesco Grazzini, canonico di San Felice. Si tratta di un’opera modesta ma graziosa, con un’architettura classicheggiante e il dipinto che raffigura San Filippo Neri in abito sacerdotale. Occorrerebbe un restauro…

Il tabernacolo subito successivo, della fine del Cinquecento, ospita un tema ricorrente: la Madonna del Latte in un bassorilievo in stucco policromo. Al centro la Madonna con il bambino è circondata dagli angeli e contornata da più cornici, una delle quali, in pietra serena, è successiva, mentre le due lignee sono coeve al dipinto. Notiamo come la più esterna è decorata con mascheroni e un’aquila.

Con lo sguardo puntato a cogliere i dettagli di questi particolari e affascinanti tabernacoli, siamo arrivati nella caotica piazza Santo Spirito, che ci accoglie con una ricca lanterna in ghisa, il cui modello era spesso usato per illuminare proprio i tabernacoli e che qui segna l’angolo di Palazzo Guadagni.

Tabernacolo via Mazzetta, angolo Borgo Tegolaio.
Lanterna su Palazzo Guadagni.
Tabernacolo piazza Santo Spirito, angolo via delle Caldaie.

Di fronte si trovava la dimora della famiglia Dati, che ricostruì l’edificio nel Cinquecento e vi pose il proprio stemma. Il tabernacolo che troviamo sul muro, in angolo, è quindi chiamato così e potrebbe essere stato commissionato da loro. L’edicola è in legno e dentro doveva contenere una Vergine col bambino; ciò almeno fino all’inizio del Novecento, quando scomparve lasciando vuoto il tabernacolo. Successivamente venne collocata una copia parziale di un dipinto del Perugino, conservato a Palazzo Pitti, la Madonna del Sacco. Nel quadro originale non è presente solo la Madonna, che vediamo anche noi, ma pure Gesù sul sacco da viaggio e un San Giovannino.

Per ammirare la prossima opera deviamo da piazza Santo Spirito ed entriamo in via delle Caldaie e poi in via dei Preti, dove si trova un tabernacolo piuttosto grande e oggetto di uno splendido restauro. Il dipinto raffigura una Madonna con bambino, San Rocco e San Sebastiano. Ciò ci ricorda uno dei motivi per cui in passato sorgevano queste strutture: le pestilenze. L’intento, infatti, era quello di farle cessare o di ringraziare dopo la loro conclusione. Non a caso questo tabernacolo fu eretto alla fine del Quattrocento o all’inizio del Cinquecento: nel 1495 vi fu un’epidemia di peste, che ebbe nel 1497-98 una recrudescenza. Dopo di essa, il tabernacolo fu costruito come ringraziamento, come dimostra la presenza di San Rocco, a destra, patrono degli appestati. Dall’altra parte, San Sebastiano, guerriero romano e patrono dei malati, porta la palma del martirio e le frecce. Entrambi, quindi, erano i santi tradizionali a cui ci si rivolgeva durante le pestilenze. Lo stile è rinascimentale, Gesù ha un uccellino tra le mani, una rondine, e in basso il committente è inginocchiato. Il tabernacolo è riccamente decorato, come mostrano i pannelli laterali interni affrescati con motivi floreali e il tondo in alto con Dio Padre. L’opera è stata attribuita a Raffellino del Garbo e aiutanti di bottega, pittore celebre e raffinato, che in quegli anni stava realizzando anche delle pale d’altare nella basilica di Santo Spirito. Di esse è rimasta solo quella della famiglia Segni, con cui possiamo ravvisare delle somiglianze con le figure di questo tabernacolo. Infine, non è forse un caso che il trono con le volute richiami leggermente alla facciata di Santo Spirito, proprio qui accanto.

Tabernacolo via dei Preti, angolo via delle Caldaie.
Tabernacolo via dei Preti, angolo via delle Caldaie.

Torniamo nella caotica piazza e tra i banchi del mercato scorgiamo un tabernacolo, che decora la parete di un palazzo. In questi luoghi sorgevano gli orti degli agostiniani di Santo Spirito e furono poi abitati da famiglie nobili come i Dati, i Ridolfi e i Guadagni. L’angolo dell’edificio era libero e nel Trecento era presente una cappella della famiglia Manfredi; in seguito, passò alla Loggia dei Cappellai e poi alla famiglia Pratesi, che abbatterono la cappella e costruirono il palazzo odierno. Il tabernacolo fu commissionato tra la fine del Seicento e l’inizio del Settecento a Pietro Dandini, un artista molto criticato per la fama di voler concludere velocemente i lavori, che risultavano di scarsa qualità. La Madonna con bambino è sospesa su un vortice di nuvole, cosa particolare perché solitamente è raffigurata su un trono; ai lati, due angeli stanno in venerazione con le mani giunte. Sulla facciata del palazzo, oltre allo stemma della famiglia Pratesi, molto consumato, un cartiglio ripercorre la storia della cappella.

Tabernacolo piazza Santo Spirito, angolo via di Sant'Agostino.
Tabernacolo piazza Santo Spirito, angolo via di Sant'Agostino.

Proseguiamo su via Sant’Agostino ed entriamo in via Maffia, che un tempo era un semplice viottolo tra gli orti e prende il nome da Maggio Manetti, che abitava qui. Nel Settecento, proprio sul muro che delimitava gli orti, i frati agostiniani vollero un tabernacolo, all’interno del quale la Madonna appare a Sant’Agostino, Tobiolo e, dietro, l’arcangelo Raffaele. Il dipinto è stato attribuito a Niccolò Nannetti, che aveva lavorato insieme a Dandini al chiostro dei morti di Santo Spirito (una piccola curiosità: Nannetti è anche uno degli artisti che hanno decorato la Badia Fiesolana). 

A due passi di distanza, scorgiamo un altro tabernacolo, sempre raffigurante la Madonna con bambino e Sant’Agostino, mentre stavolta sulla sinistra compare un San Giovanni. Si tratta di un’opera di Sogliani, che seguiva la linea artistica del Verrocchio.

Tabernacolo via di Sant'Agostino, angolo via Maffia.
Tabernacolo via Maffia, angolo via di Sant'Agostino.

I due tabernacoli sono la traccia della presenza degli agostiniani in questa zona. Il primo è stato oggetto di un restauro, che lo rende particolarmente godibile, ma che è stato molto faticoso poiché il proprietario del palazzo, un architetto, non voleva alcun tipo di intervento, sebbene fosse per lui gratuito.

Poco più avanti, all’angolo con via Santa Monaca, dove un tempo era campagna e poi le famiglie potenti come i Serragli e i Bonzi costruirono i loro palazzi, ammiriamo una delle opere più belle dell’intero percorso. Il palazzo subì diversi passaggi di proprietà finché nell’Ottocento il conte Luigi Cibrario fece restaurare l’affresco, attribuito a Bicci di Lorenzo e datato nella prima metà del Quattrocento. Vi è raffigurata una Madonna con bambino in trono, con San Paolo, San Girolamo e, in basso, inginocchiato, il committente. Nella parte interna possiamo scorgere alcune figure, che adesso risultano tagliate. Un piccolo aneddoto su questo angolo: era chiamato “canto alla cuculia” poiché vi era un nido di cuculi… Non a caso Gesù bambino stringe tra le mani un cuculo.

Tabernacolo via Santa Monaca, angolo via dei Serreagli.
Tabernacolo via Santa Monaca, angolo via dei Serreagli.

In via Santa Monaca sorgeva dal Quattrocento la chiesa dell’omonimo convento, sovvenzionata dalla famiglia Bardi e poi dai Capponi, i quali misero lo stemma in facciata. Diamo un’occhiata, di passaggio, al piccolo tabernacolo con una ceramica robbiana, raffigurante una Madonna con bambino.

Siamo arrivati nella tranquilla piazza del Carmine, celebre per la chiesa e soprattutto per la Cappella Brancacci. Subito a destra non perdiamoci il tabernacolo di un pittore fiorentino della fine del Quattrocento, rappresentante una Madonna seduta su un sedile monastico. Il bambino viene offerto a San Giovanni Evangelista, quindi probabilmente il committente si chiamava Giovanni; egli è raffigurato in basso, insieme alla moglie, mentre sullo sfondo possiamo distinguere un paesaggio. Un’ipotesi è che il medesimo committente fosse responsabile anche di un ampliamento del convento di Santa Monaca. Di sicuro il tabernacolo è stato restaurato negli anni Cinquanta, ma avrebbe necessità di un nuovo intervento…

Tabernacolo via dell'Ardiglione, angolo via Santa Monaca.
Tabernacolo piazza del Carmine, angolo via Santa Monaca.

Attraversiamo la piazza e ci troviamo di fronte ad uno degli affreschi che più mi sono piaciuti e mi hanno intrigata… L’opera è frutto di diverse mani, la prima delle quali ha creato il soggetto nel Trecento. Gesù bambino è circondato dai santi intorno al trono e, in basso, vediamo la testa sinopia di San Giovanni Battista. In modo più o meno coevo è intervenuto il maestro di San Martino a Mensola, mentre un secolo dopo il dipinto è stato ampliato da un altro artista locale, con Niccolò Borgherini come committente, nominato nel cartiglio e che fece raffigurare anche la moglie e la figlia. Chicca imperdibile è la presenza del colore e della sinopia. Nei pannelli laterali distinguiamo San Giorgio che trafigge il drago e, a destra, il francescano Gherardo da Villamagna.

Tabernacolo piazza del Carmine, angolo piazza Piattellina.
Tabernacolo piazza del Carmine, angolo piazza Piattellina.
Tabernacolo piazza del Carmine, angolo piazza Piattellina.

In pochi metri passiamo in piazza Piattellina (da “piattellini”, cioè vettovaglie), dove un piccolo tabernacolo della metà del Cinquecento, mostra ai passanti una Madonna con bambino e San Giovannino. Il restauro della metà dell’Ottocento ha introdotto un’edicola in pietra serena. L’8 settembre, le parrocchie celebravano la festa della natività di Maria e, in quell’occasione, abbellivano i tabernacoli con fiori e lumini; allo stesso modo, nel 1852 decisero di creare una decorazione permanente. L’ultimo restauro fu curato un secolo dopo da Francesco Vannoni. La proprietà era forse un tempo dei carmelitani, mentre ora è del comune di Firenze.

All’angolo con via del Leone, ammiriamo un altro splendido affresco del Quattrocento, incorniciato da pietra serena con pennacchi e uno stemma molto consumato. Il dipinto è attributo al maestro di San Miniato, ma i critici sono incerti. La Madonna con bambino, seduta in trono e fiancheggiata da grandi vasi ornamentali, è accompagnata dagli arcangeli Michele e Raffaele, con il giovane Tobiolo, che tiene in mano il fiele del pesce. Gesù si rivolge verso di lui e lo benedice. Da ciò desumiamo che il committente si chiamasse Tobia oppure avesse una qualche malattia agli occhi, per cui chiedeva guarigione. Ciò che è davvero particolare è la presenza in contemporanea di ben due arcangeli…

Lungo via dell’Orto, che prende il nome dagli orti camaldolesi che si estendevano qui, troviamo un tabernacolo davvero divertente. Originariamente in stucco policromo, adesso vediamo la copia seicentesca di Benedetto da Maiano, con una cornice in marmo: si tratta di un finissimo bassorilievo.

Tabernacolo piazza Piattellina, angolo piazza del Carmine.
Tabernacolo piazza Piattellina, angolo via del Leone.
Tabernacolo via dell'Orto.

Giriamo a destra in via San Giovanni e, in fondo alla strada, ci fermiamo per una delle nostre ultime tappe: un tabernacolo da poco restaurato e staccato dall’antico ospedale di Santa Lucia, che si trova proprio davanti. L’affresco fu realizzato intorno al 1428; le benedettine del convento di Sant’Anna presero anche questo convento e ripararono nell’ospedale. Ad esse subentrarono un secolo dopo le monache dell’arcangelo Raffaello (1534), costituendo il loro monastero. Nel 1642, grazie a Gherardo Silvani, ristrutturarono completamente la chiesa e, al fine di aprire il portale che vediamo ancora oggi, trasferirono l’affresco su via San Giovanni. Nell’Ottocento il proprietario del palazzo, Giuseppe Vitali, si prese a cuore il dipinto e vi fece costruire l’edicola in marmo e inserire la lapide sottostante. Quella che vediamo adesso, però, è opera del nipote, che alla fine dell’Ottocento commissionò un nuovo restauro. Autore dell’affresco è il maestro di Signa, che lavorava nell’Oltrarno fiorentino, tra l’altro anche nella chiesa di San Felice in piazza. Viene rappresentata una Madonna con bambino attaccato al seno, simbolo del nutrimento spirituale e materiale che l’ospedale offriva ai pellegrini. Gli angeli intorno sono in preghiera o musicanti con cetra e cembalo.

Per concludere il nostro itinerario prendiamo borgo San Frediano, dove vediamo la struttura dell’antica chiesa, con i rilievi dell’arcangelo Raffaello e Tobiolo, adesso proprietà privata della famiglia Romanelli, che vi ha aperto una scuola e una galleria d’arte.

Antico Ospedale di Santa Lucia.
Tabernacolo via San Giovanni, angolo borgo San Frediano.
Tabernacolo via San Giovanni, angolo borgo San Frediano.

Giungiamo ad uno dei tabernacoli più piccoli: una Madonna con bambino e San Giovannino in marmo bianco in un’edicola in pietra serena; l’atmosfera è quella dell’intimità familiare. Nella parte alta della cornice riconosciamo la corolla di un giglio, simbolo della Madonna e, sotto, la scritta “Mater misericordiae”, l’inizio del Salve Regina. L’attribuzione è a Giovanni Battista Foggini o alla sua bottega e la datazione è verso la fine del Seicento, poiché necessariamente successiva all’apertura della stradina e dell’ingresso laterale della chiesa nel 1690. Nel 2016 il parroco di San Frediano in Cestello, a cui appartiene il tabernacolo, volle farlo restaurare.

Il nostro itinerario si conclude sull’altro lato di piazza del Carmine, dove sorgeva l’antica porta San Frediano. Il tabernacolo non è di eccelsa qualità e rappresenta la Sacra Famiglia; fu rimaneggiato nel corso dell’Ottocento o del Novecento. Il bambino si sporge sulla figura davanti, che forse era il committente. Interessante è il palazzo, una casa destinata alla compagnia di Sant’Agnese all’inizio del Quattrocento (e poi alla compagnia del Bigallo), che la destinò come ospizio per le vedove, sovvenzionato dalle famiglie nobili dell’Oltrarno.

Tabernacolo borgo San Frediano, angolo via di Cestello.
Tabernacolo borgo San Frediano, angolo via di Cestello.
Tabernacolo piazza del Car mine, angolo borgo San Frediano.

La passeggiata, che ci ha condotti a tante scoperte interessanti, ci ha mostrato anche come spesso abitiamo i luoghi senza guardarli veramente. Può sfuggire un tabernacolo di piccole dimensioni, magari incastonato tra le persiane di due finestre, ma che dire di uno grande? Colorato? Con una ricca cornice? Troppo di frequente viviamo senza vedere, senza soffermarci, privati del tempo per osservare e godere delle piccole meraviglie che ci circondano. In un’intera mattina, ci siamo riappropriati di alcuni spazi che erroneamente credevamo già nostri e sui quali non ci eravamo interrogati… Ancora una volta, abbiamo avuto la prova che vale la pena fermarsi, cercare, scoprire.

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