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“IL GATTOPARDO” DI G. TOMASI DI LAMPEDUSA

Un grande classico sottovalutato dalla maggioranza

GIUGNO 2023

Questo meraviglioso volume appartiene alla stessa collana degli altri libri usati che ho fortuitamente recuperato (“La porta stretta”, “I racconti” di Kafka e quelli di Checov). Quando ho notato la presenza del “Gattopardo” nella pila di saggi e romanzi ho pensato che non potessi lasciarmi sfuggire una tale occasione e subito l’ho messo al riparo nel mio zaino. Nella mia carriera studentesca ho sentito tanto parlare di questo grande classico, anche se la maggioranza dei miei coetanei ne descriveva (e lo fa tutt’ora) la lettura come una delle più noiose mai sperimentate… Influenzata dal giudizio degli altri, non avevo mai osato affrontare le centinaia di pagine. E invece è stato amore fin dai primi paragrafi!

  1. Sinossi:
  2. L’autore;
  3. Cosa ne penso?

Subito mi ha colpita il modo di scrivere, la profusione di dettagli, l’eccesso delle descrizioni e la vena ironica e al tempo stesso tragica che aleggia su tutto il racconto. Non è affatto un romanzo noioso, ma va saputo accettare e accogliere come diverso dai canoni a cui siamo abituati, forse, per alcuni, un po’ lento, ma per me molto avvincente. Certo, comprendo l’impazienza dei lettori quando in intere sezioni, decine e decine di pagine, la storia progredisce di un loro giorno… Eppure, per godere di questo romanzo, bisogna abbandonarsi al suo flusso apparentemente immobile, così da riuscire a respirare l’aria e l’atmosfera della Sicilia ottocentesca, scossa dai moti rivoluzionari e dall’annessione al Regno d’Italia.

“(…) il suo disgusto cedeva il posto alla compassione per questi effimeri esseri che cercavano di godere dell’esiguo raggio di luce accordato loro fra le due tenebre prima della culla, dopo gli ultimi strattoni. Come era possibile infierire contro chi, se ne è sicuri, dovrà morire? (…) Non era lecito odiare altro che l’eternità.”
p. 297

Lo stile di Tomasi di Lampedusa rispecchia ciò che il suo libro descrive: un’incredibile ed elegante quantità di particolari copre la decadenza e l’inconsistenza di una classe sociale, quella dell’antica nobiltà, destinata a scomparire, o meglio ad essere fagocitata dai nuovi ricchi, più rozzi e volgari, ma più brillanti dal punto di vista economico e aperti a cogliere le opportunità che il nuovo assetto politico e culturale sembra offrire.

Il Gattopardo è un romanzo magistrale e controcorrente, che si disinteressa della moda e dell’approvazione per restituire una realtà vera, dolorosamente sconfitta, negli ultimi baluardi del proprio ormai vetusto splendore, destinato all’oblio dall’immobilità, dalla pigrizia e forse anche da un’aristocratica fatalità.   

Giuseppe Tomasi di Lampedusa, "Il Gattopardo".


Tomasi di Lampedusa scrisse il proprio capolavoro tra il 1954 e il 1956, ispirandosi al bisnonno Giulio, astronomo (un po’ come era lui stesso) per la figura del principe Fabrizio Salina e al figlio adottivo Gioacchino Lanza per quella di Tancredi; anche le varie dimore che compaiono nel romanzo somigliano a palazzi e residenze reali.

Il romanzo fu respinto sia da Mondadori (1956) sia da Einaudi (1957) e fu solo dopo la morte dell’autore che Giorgio Bassani pubblicò Il Gattopardo nella collana da lui diretta per Feltrinelli (1958). Il successo, quindi, fu grande, ma solo postumo.

La reazione del pubblico fu di entusiasmo, ma anche di aspra polemica. È facile intuire il motivo: il principe Fabrizio, di fronte alla decadenza del proprio mondo, all’impresa dei Mille, al plebiscito e all’avanzata sociale dei nuovi ceti borghesi, non risponde affatto: si limita a guadare le stelle e a teorizzare il salvataggio della nobiltà con la famosa formula “Bisogna cambiare tutto perché non cambi niente”. L’interpretazione immediata è quella di un elogio al qualunquismo, alla rinuncia e al reazionarismo… Ma il romanzo è molto più sottile e delicato.

Lo stile tradizionale, quasi ottocentesco, della scrittura si discosta dalle correnti letterarie del tempo, dominate dal neorealismo e da una narrativa di taglio naturalistico, impegnata e popolare. Dall’altro lato, negli anni Cinquanta l’ottimismo astratto e ideale fondato sui valori della Resistenza scivolava verso il pessimismo (Sciascia), la scelta del fantastico (Calvino), lo sperimentalismo linguistico e formale (Pasolini, Gadda). In questo panorama letterario Il Gattopardo fu interpretato come un epigono del realismo ottocentesco; in molti lo criticarono, ma la sua comparsa imprevista e il suo successo segnarono il declino della cultura letteraria dominata dall’egemonia della cultura di sinistra.

In realtà Il Gattopardo non è un romanzo storico, ma un dipinto all’interno del quale affiora la riflessione sull’indifferenza reciproca fra la storia e i destini individuali. Lo sfondo è quello del tramonto della società nobiliare, stanca e parassitaria, legata ai Borboni, mentre emergono i nuovi ceti borghesi, volgari ma intraprendenti, mentre la Sicilia è in totale e irrimediabile decadenza. I due grandi temi de Il Gattopardo, quindi, sono la pietà della storia e il sentimento della fatalità della morte. Per questo motivo, si tratta di un romanzo che ci parla ancora oggi, con un valore artistico ed esistenziale universale.

Giuseppe Tomasi di Lampedusa, "Il Gattopardo".


“Come sempre la considerazione della propria morte lo rasserenava tanto quanto lo aveva turbato quella della morte degli altri; forse perché, stringi stringi, la sua morte era in primo luogo quella di tutto il mondo?”
p. 299


“Don Fabrizio si guardò allo specchio dell’armadio: riconobbe più il proprio vestito che sé stesso (…)
Perché mai Dio voleva che nessuno morisse con la propria faccia? Perché a tutti succede così: si muore con una maschera sul volto; anche i giovani (…)”
p. 324

Pure dal punto di vista formale, si afferma per la sua unicità: non può essere iscritta né nella corrente del neorealismo né in quella dello sperimentalismo. Si tratta veramente di stile ottocentesco? Nonostante l’eco di Proust, non sarebbe corretto affermarlo: vi è un eccessivo ed evidente squilibrio tra la concisione dei quadri d’insieme e l’esuberanza dei dettagli, segno di un autore del Novecento, che non recupera il secolo precedente ma lo ammira e lo emula soltanto.

In conclusione, Il Gattopardo descrive con uno stile unico e inimitabile un preciso momento storico, ma parla di una realtà (quella della Sicilia e non solo) e di un’esistenza umana che ci toccano ancora nel profondo perché così attuali e autentiche.

“Ma era poi la verità questa? (:..) la verità ha vita breve: il fatto è avvenuto da cinque minuti e di già il suo nocciolo genuino è scomparso, camuffato, abbellito, sfigurato, oppresso, annientato dalla fantasia e dagli interessi; il pudore, la paura, la generosità, il malanimo, l’opportunismo, la carità, tutte le passioni le buone quanto le cattive si precipitano sul fatto e lo fanno a brani (…) La verità non c’era più (…)”
p. 363

SINOSSI

Pubblicato postumo nel 1958, il romanzo è ambientato in Sicilia e ha come protagonista il principe Fabrizio Salina, detto il Gattopardo dall’emblema della sua casata nobiliare, il quale assiste nel 1860 allo sbarco dei garibaldini e all’annessione della Sicilia al Regno d’Italia. Il principe è consapevole che il mondo aristocratico a cui appartiene sta morendo e incoraggia l’amato nipote, Tancredi Falconeri, a sposare la bella Angelica, figlia di Calogero Sedara, contadino arricchito e rappresentante della nuova classe borghese emergente…

Dal romanzo, nel 1963 Luchino Visconti realizzò l’omonimo celebre film.

GIUSEPPE TOMASI DI LAMPEDUSA

Giuseppe Tomasi di Lampedusa, "Il Gattopardo".


Nato nel 1896, Giuseppe Tomasi di Lampedusa proveniva da una facoltosa famiglia di antica nobiltà; appassionato lettore, conosceva l’inglese, il francese e il tedesco, oltre allo spagnolo e al russo. Partecipò alla Prima guerra mondiale e nel 1932 sposò la principessa lettone Alessandra Wolff-Stomersee, con la quale fu felice, anche se non ebbero figli. Fu chiamato nuovamente sotto le armi nel 1940-43 e nel 1954 il cugino Lucio Piccolo lo invitò ad un convegno letterario di poeti illustri che presentavano autori sconosciuti; lì incontrò Eugenio Montale ed ebbe lo stimolo a scrivere il romanzo al quale pensava da anni. Lo fece nel 1954-56, ma non lo vide mai pubblicato perché morì nel 1957.

Il Gattopardo fu dato alle stampe l’anno dopo; uscirono postumi anche i Racconti (1961), le Lezioni su Stendhal (1977), l’Invito alle lettere francesi del Cinquecento (1979).

Durante tutta la sua vita Tomasi di Lampedusa fu un isolato, che riusciva a comunicare solo attraverso la letteratura. Proprio come il principe Fabrizio Salina, intendeva la realtà circostante come un materiale di studio, su cui fondare la propria visione della vita; non riuscì, tuttavia, a calarcisi: ad esempio nel fascismo o nell’intervento concreto dell’intellettuale nella società (come il principe nella realtà dell’annessione della Sicilia al Regno d’Italia).

Tomasi di Lampedusa non amava la letteratura italiana, ma preferiva Shakespeare, Montaigne, Dickens, Pascal, Goethe, Proust, Dostoevskij, Stendhal… Fu uno degli ultimi eredi della grande cultura europea e il suo romanzo rispecchia l’identità aristocratica del suo autore.

IL LIBRO

Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo, edizione conforme al manoscritto del 1957, Istituto Geografico De Agostini, Novara, 1985.
> https://www.lafeltrinelli.it/gattopardo-libro-giuseppe-tomasi-di-lampedusa/e/9788807883828


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