Grandi Classici Libri

LA CASA IN COLLINA DI CESARE PAVESE

Impressioni su un classico imprescindibile

Per la beneamata serie “A volte anche i libri comprati decine di anni fa e dimenticati sullo scaffale ritornano”, ecco un grande classico della letteratura italiana novecentesca: La casa in collina di Pavese. Esattamente due anni fa (a luglio 2019) ho letto il mio primo romanzo del celebre autore, La luna e i falò, e ne sono rimasta incantata. Non ricordo se ho deciso di acquistare questo libro in seguito a quell’occasione o per qualche altro fortuito evento (mi sorge adesso il dubbio che il volume non sia nemmeno mio ma lo abbia trovato in qualche casa o meandro di libreria altrui…). In ogni caso, avevo provato a leggere lo scorso anno e non aveva funzionato: i tempi non erano maturi. Lo sono diventati questa estate tra il torrido clima fiorentino e la frescura della montagna… E, devo dire, meno male, altrimenti avrei rischiato di perdermi un bellissimo romanzo, una storia raccontata al singolare ma che parla di molti di noi, forse di tutti, passati e ancora presenti.

  1. Sinossi;
  2. L’autore;
  3. Cosa ne penso?
La casa in collina - copertina.


In poco più di 120 pagine si comprende subito perché questo sia considerato uno dei capolavori di Pavese ed il motivo per cui, a scuola, era tra le letture consigliate (o obbligate, per i professori meno permissivi). Si tratta del momento più alto della maturità dello scrittore e vi si trovano con facilità tutte quelle caratteristiche che siamo soliti attribuirgli: impegno politico e disagio esistenziale colti in un individuo ma appartenenti all’intera generazione che ha vissuto la Seconda guerra mondiale.

La solitudine che domina il protagonista è tale non solo a livello sentimentale e politico, ma anche e soprattutto esistenziale; se, forse, inizialmente pareva una condizione scelta e cercata, col trascorrere del romanzo sembra sempre più profonda e ineluttabile. Solo è all’inizio percorrendo la collina sopra Torino e solo rimane alla fine perdendo le persone a cui avrebbe potuto legarsi, nell’incertezza dell’inappartenenza e nel dubbio del proprio ruolo. Il disagio esistenziale è un tarlo che scava dentro e la consapevolezza, invece di aiutare, peggiora il morbo.

pp. 81-82

“Siamo tutti malati (…) che vorremmo guarire. È un male dentro, basterebbe esser convinti che non c’è e saremmo sani.”

Corrado è solo anche perché non si schiera mai davvero (o forse questa è la conseguenza della sua solitudine?): non è fascista, condanna la guerra, ma non si impegna in prima persona, non si unisce ai partigiani, non assume un ruolo attivo nella resistenza. L’impegno politico emerge e scompare in lui, che pure è costretto a fuggire e a riparare nella sua vecchia casa, con i genitori.

La casa in collina - copertina.

In un universo di personaggi in continua crescita e mutamento (Cate non è la ragazza di un tempo ma una donna e una madre, Dino sceglie di far parte della resistenza), in cui tutti si adoperano per chi amano, si schierano o si proteggono, Corrado rimane immobile. Ogni cosa sembra scorrere davanti ai suoi occhi senza che il protagonista del romanzo riesca davvero a prenderne parte, senza che egli entri nell’azione. È un atteggiamento che sembra una scelta ed è una condanna, in primo luogo all’infelicità. Infatti, questo modo di comportarsi è fonte di dolore costante, una sofferenza sorda ma come attutita da un’abitudine all’indifferenza, a pensare per sé solo.

Vi è, però, anche una grande consapevolezza e una capacità di analisi e riflessione cruda, brutale e vera, oltre l’ideologia e le facili illusioni. Corrado, pur non impegnandosi, è spettatore ed esaltatore dell’impegno politico altrui, come in un chiaro scuro pienamente cosciente.

p. 91

“(…) mi ricordò che non la vita importa a Dio ma la morte”

Nella mia edizione, dopo la conclusione del romanzo, sono stampati due racconti, in una sezione denominata Assonanze: in effetti, i parallelismi e le somiglianze che si possono cogliere sono tutt’altro che casuali. La prima di queste due “appendici” è La famiglia, scritta nel 1941-42 e pubblicata nel 1953 nei Racconti da Einaudi. Questo testo racconta la medesima trama amorosa, con addirittura gli stessi nomi e parla di un’incapacità di legarsi, di una donna che torna dal passato e di un figlio sconosciuto (e incerto); il finale è improntato all’immobilità e alla solitudine. Manca, come è chiaro, tutta la parte relativa alla guerra e all’impegno politico ma i concetti esistenziali rimangono gli stessi.

Il secondo racconto, invece, chiamato Il fuggiasco e scritto nel 1944, è tutto incentrato sulla guerra e sembra proprio un canovaccio, una sinopia di una parte del romanzo: l’incontro col pastore Odino e i giorni di fuga nelle colline. Le parole e le frasi sono proprio identiche a quelle del romanzo, anche se qui tutto diventa un episodio conchiuso in se stesso; si aggiungono solo alcuni dettagli di contorno e una bella prospettiva offerta dalle persone del posto, uscendo dall’ottica del solo protagonista.

La casa in collina è giustamente celebre per l’idea della guerra sempre e solo come guerra civile perché siamo accomunati dall’essere tutti umani: potremmo essere noi i morti e se siamo vivi è perché qualcun altro è caduto al posto nostro. Questo ragionamento permette anche di superare il nostro egoismo: i morti somigliano ai vivi e a loro chiedono ragione.

La casa in collina - copertina.


“Ci si sente umiliati perché si capisce (…) che al posto del morto potremmo essere noi:
non ci sarebbe differenza, e se viviamo lo dobbiamo al cadavere imbrattato.

Per questo ogni guerra è una guerra civile: ogni caduto somiglia a chi resta, e gliene chiede ragione.”

p. 122

Nel finale, di una grande potenza e straordinaria capacità evocativa, è racchiuso tutto il disagio, il dolore, l’insensatezza: la guerra non finisce se non per chi è già morto, mentre i vivi sono costretti a restare per cercare di attribuire un senso.

“Ora che ho visto cos’è guerra, cos’è guerra civile, so che tutti, se un giorno finisse, dovrebbero chiedersi:
– E dei caduti che facciamo? perché sono morti? – Io non saprei cosa rispondere. Non adesso, almeno. Né mi pare che gli altri lo sappiano. Forse lo sanno unicamente i morti, e soltanto per loro la guerra è finita davvero.”
pp. 122-123


SINOSSI

Corrado è un professore che ogni sera lascia una Torino oggetto di bombardamenti per rifugiarsi sulle colline circostanti, dove incontra un amore dell’adolescenza, Cate, divenuta ormai una donna e madre di un bimbo. Con loro, conosce anche un gruppo di uomini che diverranno poi partigiani e giocheranno un ruolo attivo nella resistenza. Quando, però, la guerra arriva anche sulle colline, Corrado decide di fuggire e di tornare tra i monti in cui è cresciuto. Lungo la strada incontra sparatorie, morti, sangue umano misto alla benzina fuoriuscita dagli autocarri.


CESARE PAVESE

Cesare Pavese (1908 – 1950) trascorre quasi tutta la vita a Torino. Dopo la laurea in lettere insegna per breve tempo. Scrive poesie e racconti e traduce per la casa editrice Einaudi autori americani ancora poco conosciuti in Italia, favorendo la diffusione della letteratura statunitense. Arrestato nel 1935 con l’accusa di attività antifascista viene mandato al confino a Brancaleone Calabro dove soggiorna per un anno.

Negli anni del dopoguerra si dedica a un’intensa attività letteraria pubblicando romanzi e saggi sul rapporto tra letteratura e società e ottenendo un ampio apprezzamento di pubblico e di critica. Al culmine del successo, in seguito a una grave crisi esistenziale, si toglie la vita in un albergo a Torino.

IL LIBRO

Cesare Pavese, La casa in collina, Giulio Einaudi editore s.p.a., Prima edizione Supercoralli, Torino, 2014
(prima edizione 1948, edizioni successive: 1990 e 2008)



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